di Marika Moretto
Molti Maestri hanno passeggiato su questo pianeta, da quando sprofondò nel buio. Grandi Anime.
E voglio dirvi questo: per loro non è stato affatto facile. Per chi vi dice: “Se non riesci a stare bene qui significa che devi ancora farne di strada” … Io rispondo: non sapete di cosa parlate.
Il risveglio, semplicemente, è ricordare. E riconnettersi con la Fonte. Ricordare, tra le altre cose, il motivo di questa e di tutte le incarnazioni. Lo scopo di questa scuola terrena. Il motivo per cui è diventata buia molto più di quanto doveva essere. E il motivo per cui questo momento storico è così importante.
Ma per il resto… Il risveglio non cancella affatto ciò che si è, semmai lo amplifica.E, l’empatia, è una qualità e una capacità innata di alcune Anime. Non scompare. Semplicemente si impara a gestirla…
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Son già due anni che l’umanità tutta è coinvolta direttamente, e non, in una dimensione totalizzante di paura e di dolore. Se la paura è la situazione emotiva originaria che scaturisce da un senso indeterminato di minaccia, il dolore è la minaccia che si realizza: i due elementi sono perciò indissolubilmente connessi.
Nonostante la letalità della pandemia da Covid (la minaccia realizzata) sia particolarmente bassa (neanche sei milioni di morti, quasi tutti di oltre 80 anni, su 8 miliardi di individui dopo 2 anni), il contagio psicologico della paura della morte si è propagato in modo esponenziale a livello globale, tant’è che quasi tutti i governi dei Paesi del mondo hanno preso misure draconiane (per lo più inutili) per contenere il contagio del virus, espandendo però nel contempo il contagio del terrore. Sono stati scritti ormai innumerevoli saggi che hanno cercato di spiegare tale impazzimento collettivo…
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di Roberto Fabbroni
La Consapevolezza porta alla Conoscenza… e non il viceversa. Come acquisire la Consapevolezza? La Consapevolezza si acquisisce attraverso la pratica del Discernimento.
Il Discernimento si acquisisce attraverso il lavoro interiore che passa per la sofferenza e il dolore. Ci si potrebbe chiedere perché attraverso questa strada si arriva al discernimento o ancor meglio alla consapevolezza… Ci si potrebbe chiedere se coltivando l’amore, la gioia e la bellezza si può arrivare alla consapevolezza e quindi alla Manifestazione della propria Anima su questo Piano materiale.
La risposta è semplice: si passa per la sofferenza e il dolore. Obbligatoriamente. Prima di poter vivere la Gioia, l’Amore, la Bellezza e altri sentimenti puri, obbligatoriamente si passa per il Discernimento e quindi si attraversa la strada della Sofferenza e del Dolore, per poi trascenderli…
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Dott.ssa Carla Sale Musio
Una cultura nuova deve aprirsi anche a ciò che non appare e riservargli un posto tra le cose importanti.
In questa nostra civiltà affetta da un patologico narcisismo abbiamo perso di vista il valore dei sentimenti, della creatività, dell’ingenuità e della fragilità. E smarrito il senso della vita. Forti di una superiorità arbitraria e crudele infliggiamo la morte a cuor leggero, colpendo tutto ciò che intralcia il nostro cammino.
Non ci fermiamo mai a riflettere sulle conseguenze di queste scelte… incontestabili. Le emozioni, la fantasia, la dolcezza, la sensibilità, la diversità… sono considerate inutili, prive di diritti, e trasformate in vittime dei capricci dell’uomo. I primi a fare le spese di questa prepotenza sono gli animali. E insieme a loro: le donne, i bambini, gli anziani, i portatori di handicap, gli svantaggiati e tutti quelli che non si conformano alle pretese del più forte…
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Enric Benito è un medico con una vasta esperienza clinica in oncologia e cure palliative e fa parte del “Gruppo di Spiritualità della Società Spagnola di Cure Palliative”.
Alla fine di questa intervista, potete vedere il video completo della conferenza che ha tenuto davanti a 550 persone nel novembre 2018, al Forum di Gogoa.
– Enric Benito ripete spesso che “morire è normale e finisce sempre bene”. La prima cosa è chiara: Borges ha scritto che “morire è un’usanza che ha la gente, come il pisolino dopo pranzo”. Ma com’è possibile che finisca sempre bene?
– Quando cerco di fare pedagogia, affronto una società dove la paura e l’ignoranza sono così grandi che mi concedo il permesso di usare un linguaggio un po’ provocatorio. Morire è il processo più interessante che faremo nella nostra vita. Sono momenti di massima intensità vitale e antropologica. Non essere preparati a morire è un peccato, e aver paura della morte è perdere la propria vita. Molti di noi vivono alla periferia delle proprie profondità… non ci conosciamo, e dire addio a noi stessi senza esserci conosciuti è molto triste: da qui provengono la paura e l’incertezza…
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In un mondo che, a detta di molti, gira veloce e senza un perché, occorrerebbe fermarsi a coltivare la propria spiritualità, prima di tutto il resto.
Il riferimento è a quel tipo di particolare sensibilità che significa adesione a determinati modi di vivere e di sperimentare la realtà, non certo ad una dimensione di carattere squisitamente religioso, alla quale spesso riconduciamo il senso di questa parola.
Accade quasi sempre dopo un grande dolore o in un momento di forte crisi esistenziale, che si cerchi un modo per andare avanti o invertire il corso degli eventi. In particolare, ci si chiede come sopravvivere alle ferite della vita, cercando, pur senza troppi entusiasmi, la chiave di una nuova felicità.
Gregg Braden, lo scrittore americano che di questi argomenti ha fatto lo scopo di tante ricerche e il perno di molti viaggi nei luoghi più remoti del mondo, sostiene che “la chiave della sopravvivenza consiste nell’immergersi nelle lotte della vita”, senza, tuttavia, perdere se stessi durante quell’esperienza. Può sembrare alquanto paradossale, eppure, è l’unica via che può condurci a trovare un’àncora di salvezza e la forza necessaria per sopportare qualunque impresa…
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di Maurizio Padrin
Eliminando la sofferenza al suo primo insorgere, l’uomo moderno si nega la possibilità di prendere coscienza del dolore e della straordinaria bellezza del suo contrario: il non-dolore.
Perchè in tutte le grandi tradizioni religiose il dolore è visto come una cosa naturale, come una parte della vita? C’è forse nel dolore un qualche significato che ci sfugge? Che abbiamo dimenticato? Se anche ci fosse, non vogliamo saperne. Siamo condizionati a pensare che il bene deve eliminare il male, che nel mondo deve regnare il positivo e che l’esistenza non è l’armonia degli opposti.
In questa visione non c’è posto per la morte, né tanto meno per il dolore. La morte la neghiamo non pensandoci, togliendola dalla nostra quotidianità, relegandola, anche fisicamente, la dove è meno visibile. Col dolore abbiamo fatto anche di meglio: lo abbiamo sconfitto. Abbiamo trovato rimedi per ogni male e abbiamo eliminato dall’esperienza umana anche il più naturale, il più antico dei dolori: quello del parto, sul quale da che mondo è mondo si è formato l’orgoglio della maternità e l’unicità di quel rapporto madre-figlio forse saldato proprio dalla sofferenza. Ma questa è la nostra civiltà…
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di Aúra
Perché accadono situazioni spiacevoli? Quando le cose non vanno come vorremmo, rimaniamo spesso focalizzati nella situazione spiacevole di dolore, sofferenza e dispiacere che stiamo provando e non riusciamo a uscirne.
La mente indugia e continua a soffermarsi sulle parole che ci hanno ferito, sull’evento che è andato storto e la sensazione negativa dentro di noi aumenta. A volte pare, che quasi godiamo nel rivivere nella nostra mente ciò che ci ha generato dolore continuamente, e facendolo, continuano a chiederci “perché?”
Ecco due punti fondamentali: la nostra mente è abitudinaria e ripropone schemi conosciuti, quindi, se stiamo vivendo una situazione di dolore, sarà più facile per la mente continuare a riproporre lo stessa schema di pensiero che ci ha generato dolore…
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di Roberto Senesi
“Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere”. Kahalil Gibran
Ero appena un ragazzino, soffrivo per la fine di una storia sentimentale, per l’esito di qualche progetto finito male o mai partito, per una delusione legata ad un’aspettativa di qualche genere e l’esortazione di parenti, amici e conoscenti era immancabilmente la stessa… devi reagire, devi uscire di casa, vedere gente, ubriacarti se necessario. Tutto pur di non pensare al dolore, rifuggirlo, far finta che non esista.
Un atteggiamento tipico della cosiddetta “società moderna”, all’interno della quale il dolore viene visto e interpretato, come la più grossa sciagura che possa mai capitare nella vita di un essere umano. Esso è infatti uno di quegli aspetti dell’esistenza che ci rifiutiamo categoricamente di accettare, con tutte le forze a nostra disposizione, una sorta di aberrazione, di errore di percorso del tutto privo di qualsivoglia utilità all’interno del nostro passaggio su questo pianeta. Paradossalmente in alcuni casi (in realtà, molti di più di quanti un terrestre medio sia portato ad immaginare), si preferirebbe morire piuttosto che soffrire, e in effetti il gran numero di suicidi degli ultimi anni è alquanto indicativo a supporto di questa affermazione….
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di Silvia Pallini
La Vita è veramente un bellissimo gioco ma, come ogni gioco, ha le sue regole che è importante conoscere.
Facciamo l’analogia con un gioco o uno sport reale: se una persona sceglie di fare una bella discesa con gli sci, un’escursione in montagna oppure una stimolante partita a scacchi e si impegna al massimo per capire e imparare quanto è necessario, questa esperienza si rivelerà veramente divertente e formativa.
Ora immaginiamo esattamente la stessa esperienza, discesa con gli sci, escursione in montagna o partita a scacchi, ma questa volta fatta da qualcuno che non sente di averla scelta e di volerla fare: questa persona, come conseguenza si sentirà arrabbiata, e a causa di questa rabbia si rifiuterà di imparare le regole del gioco. Tuttavia, ‘dovendo’ giocare lo stesso, otterrà risultati disastrosi che la faranno sentire sbagliata e incapace. Questa è veramente una bella metafora della vita…
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Attraverso l’appassionato lavoro pionieristico della dottoressa Elisabeth Kubler-Ross, siamo giunti ad una nuova, più ampia e profonda comprensione della morte, il grande appuntamento che ci attende tutti e del quale la nostra società moderna, razionalista e materialista, ha fatto, nella sua incapacità di spiegarla, un tabù insuperabile.
Elisabeth Kubler-Ross, grazie al suo lavoro instancabile e paziente al capezzale dei morenti, ha infranto questo tabù. La sua esperienza personale e le consapevolezze che ne sono derivate, sono il risultato di migliaia di ore trascorse ascoltando ciò che queste persone le hanno confidato, nei giorni e nelle ore precedenti la loro morte.
Fin dagli inizi della sua carriera come medico-psichiatra, la dottoressa Kubler-Ross si rese conto che…
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