Cibi industriali? La malattia è servita. Quando il prezzo si paga in salute
di Giovanna Di Stefano
Problemi cardiovascolari, infarti, tumori, diabete, ipertensione, obesità. Le cosiddette “malattie del benessere” colpiscono un numero elevatissimo di persone, non soltanto nel mondo occidentale, ma oggi anche nei Paesi in via di sviluppo.
All’origine di questi mali vi è l’invasione del mercato alimentare da parte di prodotti di scarsa qualità, distribuiti dai colossi dell’industria che, sapientemente, si preoccupano di condirli con confezioni e pubblicità accattivanti ed infine di servirceli a buon prezzo.
Spesso al supermercato riempiamo eccessivamente ed inutilmente il carrello. Quando entriamo in un supermercato con un enorme carrello vuoto, ci apprestiamo a cominciare il nostro “tour” attraverso gli scaffali, siamo pervasi da una sensazione di abbondanza e benessere, e abbiamo la netta impressione di avere un’infinita libertà di scelta: ogni genere di prodotto ci aspetta lì, sul suo scaffale, basta prenderlo.
Se da un lato è vero che rispetto ai tempi andati il numero e la varietà dei prodotti sono aumentati in modo vertiginoso e si ha l’imbarazzo della scelta (basti pensare per esempio a cos’è il banco frigo di un ipermercato moderno, rispetto a quello del negozietto di alimentari, o anche del supermercato di 30-40 anni fa), d’altro canto la nostra libertà è prossima allo zero, se si pensa non al numero e alla varietà dei prodotti, ma alla loro qualità.
Su quest’ultimo punto abbiamo davvero poche chances quando facciamo la spesa. Non che non vi siano prodotti genuini e nutrienti, ma questi sono drammaticamente pochi e soprattutto dobbiamo saperli individuare, anche selezionando i negozi dove rifornirci, oppure rivolgendoci direttamente ai produttori. Inoltre, per acquistare in modo critico è necessario un presupposto fondamentale: la consapevolezza reale che il sistema alimentare che ci viene proposto quotidianamente dai colossi dell’industria agroalimentare, e quindi dai media, è fallimentare. Più precisamente è squilibrato, e responsabile per questo delle cosiddette “malattie del benessere”: problemi cardiovascolari, infarti, tumori, diabete, ipertensione, obesità.
Molte popolazioni sono sopravvissute per secoli mangiando per tutta la vita solo due/tre pietanze. Pochi piatti ma sani e completi. Per esempio gli asiatici si sono sempre nutriti di riso e soia, i giapponesi di pesce, i popoli dell’America latina di manioca, quelli dell’Africa del Nord di legumi e cereali, i cretesi di frutta, verdura e olio d’oliva. E ancora oggi tra queste popolazioni colesterolo, obesità, diabete, sono malattie poco diffuse.
Al contrario, il mondo occidentale è afflitto da queste malattie in maniera preoccupante, tanto che l’obesità negli USA è ormai da tempo considerata un’emergenza nazionale, alla quale si sta pensando di far fronte con una guerra vera e propria, paragonabile a quella intrapresa contro il tabagismo.
Con tutta l’abbondanza di mezzi e denaro a disposizione, l’Occidente non ha saputo dunque tutelare la propria salute. Da un lato, l’invasione del mercato alimentare con prodotti di scarsa qualità, ma comunque invitanti perché confezionati in modo pratico, saporiti al palato, già pronti, addirittura cotti e conditi (take away); dall’altro l’assenza di un’adeguata informazione, finalizzata a mettere in guardia il consumatore riguardo ai rischi di un’alimentazione basata sui prodotti confezionati. Questi due fattori hanno portato la gente, ignara ma allettata dalla pubblicità e forte, soprattutto negli anni passati, di un crescente potere d’acquisto, a comprare pressoché tutto ciò che le veniva proposto.
Questo meccanismo, da noi in atto già da decenni, si sta purtoppo ora replicando, a velocità spaventosa, nei paesi in via di sviluppo, dove l’innalzamento generale del reddito pro-capite e la migrazione massiccia verso le città, permettono a persone fino a ieri vissute di agricoltura e poco altro nel proprio villaggio, di acquistare grandi quantità di cibo scadente e a buon mercato, nei supermercati delle metropoli. Si pensi al Messico, all’Argentina, al Brasile, alla Cina e all’India.
Non bisogna dimenticare infatti che le catene della grande distribuzione (Wal-Mart in particolare, il maggior marchio di supermercati, nonché la più grande impresa al mondo) attuano una politica di prezzi estremamente aggressiva, esasperando l’abbattimento dei costi con salari bassissimi ai lavoranti e margini altrettanto miseri per i produttori, ai quali impongono a volte anche i tipi di mangimi per gli animali o i fertilizzanti per le coltivazioni, al fine di controllare meglio tutta la filiera. È con questa politica all’insegna del discount, che la Wal-Mart ha invaso dagli anni ’60 ad oggi, il mercato mondiale con più di 5000 punti vendita.
Ma perché i cibi industriali sono sotto accusa dal punto di vista salutistico? Semplice: sono mediamente troppo ricchi di grassi, soprattutto di origine animale (grassi saturi) e di zuccheri; scarsi invece di fibre, vitamine, minerali e grassi insaturi. I dolciumi dei supermercati, ad esempio, sono ricchi di grassi che servono a renderli gustosi, o meglio a mascherare l’assenza di sapore dell’impasto, fatto con ingredienti scadenti. I grassi e gli zuccheri sono spesso sovrabbondanti in questi prodotti dolciari, proprio perché hanno il “merito” di conferire un gusto gradevole a qualunque “base”. E soprattutto sono molto economici, in quanto derivati dalla filiera della lavorazione dei prodotti animali e quanto più sono economici, quanto più saranno prossimi agli “scarti” di questa filiera [1]. Ne risultano alimenti ipercalorici, non sani e con poco nutrimento.
Nei paesi in via di sviluppo, persone con redditi modesti stanno avendo improvviso accesso a questo cibo ipercalorico a buon prezzo, e non esitano ad abusarne, fintanto che il portafoglio glielo permette, attratti dalla novità dei sapori, dalla praticità dei cibi pronti, e forse da un desiderio di riscatto rispetto alle ristrettezze patite in precedenza. Il risultato? Le persone obese sembrano in questi paesi aver raggiunto percentuali elevatissime, prossime a quelle degli USA! Nel 2005 l’OMS registrava che più del 75% delle donne era in sovrappeso in ben 20 Paesi nel mondo; nell’elenco, oltre agli USA, comparivano il Sudafrica, la Giamaica, la Giordania e il Nicaragua.
Il fenomeno che si sta registrando è proprio l’aumento dell’obesità in paesi con un basso livello di istruzione. “Le vendite annue di prodotti trasformati nei paesi a reddito medio-basso, aumentano del 30% ogni anno. Pietanze già pronte, bibite gassate, hamburger, dessert preconfezionati sono protagonisti di un’inarrestabile ascesa di vendite in America Latina, Europa dell’Est e Asia. In mancanza di redditi sufficienti per comprare frutta e verdura, le famiglie più modeste fanno scorta di zuccheri, carboidrati, oli e altri alimenti trasformati molto energetici e a buon mercato. I grassi saziano lo stomaco a basso costo” [2].
Con la scusa della fretta il primo criterio con cui si scelgono i prodotti è quello della praticità: con cibi confezionati e già pronti. Anche le mense – sia quelle scolastiche che quelle aziendali – non sono da meno: le ditte vincono l’appalto per la fornitura dei pasti in base al prezzo più vantaggioso e l’imperativo è abbattere i costi. Dunque sovrabbondanza di oli, burro e altri grassi per mascherare cibi altrimenti troppo insipidi, verdure senza sapore, uova, formaggi e carni provenienti da allevamenti iper-intensivi e disumani, con evidenti ricadute sulla qualità.
Ma come possono produrre carne, uova e latte sani, animali detenuti in condizioni spaventose, in gabbie dove gli è impedito persino di rigirarsi, dove la crescita forzata a suon di ormoni fa spezzare loro le ossa, dove si ammalano per l’aria insana dei capannoni in cui sono stipati, dove vengono perciò bombardati di farmaci e antibiotici? La loro carne ed i prodotti derivati sono intrisi della sofferenza, dello stress, delle sostanze tossiche e dell’inferno che hanno vissuto durante la loro esistenza, non di animali, ma di “macchine da carne”.
Il palato si fa dunque ingannare e resta appagato dal sapore del grasso, non accorgendosi che quello che c’è sotto è cibo scadente. Anche il portafoglio rimane soddisfatto dal risparmio spesso sorprendente: crostate, pacchi di biscotti e merendine a 1 euro, polli a 2 euro, uova e carne sempre più a buon mercato.
Il consumatore, in sostanza, ha venduto la propria salute in cambio di un piccolo risparmio sulla spesa.
1. Oggi è molto meno costoso procurarsi grassi animali e zuccheri:la produttività degli USA e dell’Europa è tale da causare incredibili surplus di zucchero, cereali e grassi animali, che vengono esportati poi a basso prezzo verso economie locali in tutto il mondo.
2. Tratto da “Alimenti Killer” di Francis Delpeuch, Bernard Maire, Emmanuel Monnier, Centro Scientifico Editore.
Fonte: http://www.ilcambiamento.it
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