Perdonare non significa che chi ti ha fatto del male meriti il tuo perdono, ma che tu meriti pace
di Jennifer Delgado Suárez
A volte, nella vita, viviamo situazioni difficili da dimenticare, tuttavia, nutrire odio e risentimento è come ingurgitare veleno, con la speranza che a morire sarà qualcun altro.
Correva l’anno 1961 quando John Lewis, oggi leggenda della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti, ricevette un brutale pestaggio in una piccola cittadina chiamata Rock Hill. I suoi “attaccanti”, tutti membri del Ku Klux Klan, lo pestarono, insieme ad un compagno che era con lui, lasciandoli abbandonati in una pozza di sangue. Il suo unico “crimine” era essere afro-americano ed essere entrato in una sala d’attesa per bianchi, in uno stato in cui prevaleva il segregazionismo.
Molti anni dopo, nel 2009, John Lewis ricevette una visita inaspettata nel suo ufficio. Elwin Wilson, uno degli uomini che lo avevano pestato ed ex membro del KKK, si scusò e gli chiese di perdonarlo. John Lewis, che anni prima, nel settembre 1990, aveva scritto sul New York Times che era necessario perdonare George Wallace, ex governatore dell’Alabama favorevole alla segregazione razziale, fece l’unica cosa sensata: perdonò il suo aggressore.
Questa è una storia nota, ma anche molte persone comuni hanno perdonato i loro aggressori. Queste persone divengono, cioè, consapevoli del fatto che il perdono libera anche loro, dà loro la pace e la serenità di cui hanno bisogno per andare avanti. Questa esperienza ci insegna, quindi, che non riuscire a perdonare non migliora la nostra vita.
Perdonare ciò che non si può dimenticare
A volte, nella vita, viviamo situazioni difficili da dimenticare: pesanti offese o umiliazioni, ruberie, punizioni che non meritavamo, ingiustizie, tradimenti… La lista può essere molto lunga. In questi casi è comprensibile che, durante le prime fasi, si provino enorme frustrazione, risentimento e persino rabbia. Durante quei momenti di profondo dolore, non riusciamo neppure a pensare alla possibilità di perdonare ciò che consideriamo imperdonabile. La semplice idea di perdonare, genererà, anzi, un rifiuto immediato, perché nella nostra mente, la persona che ci ha fatto del male è in “debito” con noi e pretendiamo che paghi quel debito.
Tuttavia, se alimentiamo questi sentimenti, finiremo per farci molto male. Non possiamo commettere l’errore di pensare che quando nutriamo rancore, quel dolore si rifletterà in qualche modo sulla persona che ci ha ferito. Molte persone pensano che odiando il loro carnefice, gli stiano facendo del male in qualche modo. Ovviamente, è una credenza che riflette solo un’illusione senza alcun fondamento reale.
In effetti, nutrire odio e risentimento è come ingurgitare veleno con la speranza che a morire sarà qualcun altro. Significa punirci, con la segreta speranza che questa punizione, in qualche modo, senza sapere molto bene come o quando, si ripercuota su chi ci ha fatto del male. Anche per questo, non riuscire a perdonare può solo aumentare il nostro disagio.
Il perdono come atto di auto-liberazione
Paul Boese disse che “il perdono non cambia il passato, ma allarga il tuo futuro“. Infatti, perdonare implica terminare una relazione che ci sta danneggiando, significa riprendere il controllo della nostra vita.
L’atto di perdonare cambia la relazione iniziata con il danno, l’affronto o la perdita. Quando una persona ci danneggia, si insinua nella nostra vita e occupa la nostra mente, se non voltiamo pagina, saremo, in un certo modo, sempre legati al nostro carnefice. Perdonare implica, dunque, rompere la dinamica che alimentava quella relazione.
Pertanto, perdonare è un modo per uscire da quel quadro transazionale che limita le nostre vite. Quando eravamo vittime ci tolsero il potere, ma l’atto di perdonare implica recuperarlo. E’ come se dicessimo: “mi hai ferito e ho sofferto molto per questo, ma da questo momento in poi non eserciti più alcuna influenza sulla mia vita”, perché i sentimenti e i pensieri negativi che stavamo sperimentando e ci tenevano legati, sono svaniti.
Perdonare non significa giustificare quello che è successo, significa uscire dalla relazione vittima-carnefice. Infatti, sebbene siamo tutti empatici con le vittime, la vittimizzazione non è utile poiché finisce per limitare l’immagine che abbiamo di noi stessi, la nostra storia di vita e la nostra ricchezza personale. Molte persone non sono riuscite a vivere pienamente, perché hanno sempre recitato il ruolo di vittima e si sono rifiutate di perdonare, rimanendo ancorate al passato, insieme al loro carnefice.
Perdona quando sei pronto, ma fai in modo di prepararti a perdonare
Il perdono richiede tempo perché quando c’è una perdita o una ferita importante, c’è sempre incertezza, non vediamo chiaramente cosa fare e non riusciamo a dare un senso all’accaduto. Proviamo dolore, sofferenza e siamo confusi.
Queste emozioni sono spontanee e naturali, ma prima o poi dobbiamo accettare quello che è successo e prepararci a perdonare. È importante rimanere sintonizzati sull’evoluzione del nostro stato emotivo, perché sentimenti come rabbia, odio e sete di vendetta possono bloccare la nostra mente razionale, facendo in modo che finiamo per identificarci con essi.
Questa identificazione negativa ha una natura statica, quindi le emozioni tendono a ristagnare nel tempo, la ferita non guarisce e non riusciamo a guardare avanti, ma teniamo lo sguardo fisso sul passato. A quel punto, diventiamo schiavi della sfortuna e dell’ira.
Il perdono ha il suo ritmo. Non è necessario violarlo, ma dobbiamo anche assicurarci che stiamo lavorando per sanare la ferita emotiva.
Articolo di Jennifer Delgado Suárez – psicologa
Fonte: https://angolopsicologia.com/non-riuscire-a-perdonare/
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