Ci serve una Medicina che guarisca oltre che curare
di Francesco Lamendola
Ci serve una medicina che guarisca oltre che curare. Il giusto concetto della medicina deve partire da un giusto concetto dell’uomo; se l’idea dell’uomo è sbagliata o parziale la medicina che pretende di curarlo sarà inefficace.
Ci sono due locuzioni suscettibili di far imbestialire i medici accademici, cioè quasi tutti i medici, dato che la quasi totalità di essi viene da una formazione scientifica di tipo accademico e ha introiettato, al cento per cento, la mentalità accademica delle facoltà di medicina; e queste due locuzioni sono: malattie iatrogene e guarigioni inesplicabili.
Nominare le malattie iatrogene, ossia le patologie provocate nell’organismo dagli stessi agenti terapeutici, dai farmaci assunti, dagli interventi eseguiti, ecc., li fa infuriare perché contraddice la regola fondamentale della Scuola salernitana e li pone in imbarazzo non solo davanti ai loro stessi pazienti, ma perfino davanti alla cultura del “buio” e “superstizioso” medioevo: “primum, non nocere”.
Ricordiamo infatti che circa il 30% delle malattie, secondo stime prudenti, sono da imputarsi agli stessi interventi sanitari. La casistica è amplissima: si va dal farmaco sbagliato, o suscettibile di scatenare pericolose controindicazioni, alla siringa non sterilizzata o alla dimenticanza della garza nell’intestino del paziente, dopo un intervento chirurgico.
Le guarigioni inesplicabili, invece, sono quelle che avvengono senza che i medici ne sappiano fornire una qualsiasi ragione, perché avvengono in un quadro clinico fortemente compromesso o giudicato addirittura incurabile, e che non sono riconducibili alle terapie effettuate. Sono molto rare, statisticamente parlando, tuttavia, sono assolutamente certe: la gente comune preferisce parlare di guarigioni straordinarie, o anche di guarigioni miracolose, tanto più che sovente sono collegate alla religiosità del paziente e alle sue affermazioni di aver visto, o udito, o sognato, Dio, Gesù Cristo, la Vergine Maria, gli Angeli o i Santi. I medici, giustamente, preferiscono adoperare un linguaggio più neutro e le chiamano guarigioni inesplicabili, col tacito sottinteso che, un giorno o l’latro, anche per esse si troverà una spiegazione perfettamente scientifica, senza bisogno di scomodare interventi soprannaturali.
Benché meno numerose delle malattie iatrogene, delle quali rappresentano, in un certo senso, il fenomeno opposto, le guarigioni inspiegabili dimostrano, se non altro, una cosa: che l’organismo umano possiede delle risorse misteriose, tali da poter sconfiggere perfino una grave malattia e ristabilire la salute anche in assenza di cure mediche, senza assunzione di farmaci e senza interventi chirurgici, o bombardamenti di radiazioni elettromagnetiche o altro.
Messe insieme, le due fenomenologie sembrano delineare uno scenario decisamente inquietante per la medicina ufficiale: esse, infatti, paiono indicare che l’organismo può facilmente essere danneggiato dalle sue cosiddette terapie, e, quel che è ancor più allarmante, che può guarire da solo, anche nelle patologie più gravi, senza alcun bisogno di essa.
Un tumore all’ultimo stadio che regredisce inspiegabilmente, dopo aver resistito a tutti gli interventi medici e dopo essere stato diagnosticato come assolutamente incurabile; una persona data ormai per spacciata, con una probabilità di sopravvivenza di poche settimane o pochi giorni, che recupera la salute, e che le radiografie mostrano essere tornata completamente libera dalle metastasi: come è possibile una cosa del genere? Non solo va contro tutte le “regole”, cioè contro tutte le credenze e le aspettative dei medici accademici, ma sembra andare anche contro la logica e il senso comune. Semplicemente, è una cosa che non può accadere; non più di quanto un oggetto, lasciato cadere nel vuoto, vada verso l’alto anziché essere attratto verso il basso dalla forza di gravità. E tuttavia questa cosa impossibile, e quindi “scandalosa”, accade, e noi possiamo solo prenderne atto.
Naturalmente, però, vi sono alcuni medici che si rifiutano di farlo; voltano la testa dall’altra parte e borbottano qualcosa come “mistificazione”, o “truffa” e se la prendono con la credulità popolare e contro i seminatori di false informazioni e di false speranze. La realtà, però, è che tali guarigioni sono scientificamente constatate, anche se, per definizione, restano non spiegate, e il loro atteggiamento di rifiuto serve solo a far sprecare una buona occasione per esplorare nuovi ambiti di ricerca e ampliare gli orizzonti della conoscenza. La vera scienza, infatti, è animata da uno spirito di curiositas, che è capace di prescindere, quando è in presenza di fatti inspiegabili, da quel che già si credeva di sapere per certo; quella falsa, invece, si basa su una rigida chiusura nelle proprie certezze apodittiche, ossia nel recinto dei propri pregiudizi di matrice positivista.
Limitandoci alle guarigioni straordinarie, è evidente che un loro studio più approfondito potrebbe rivelarsi d’immenso vantaggio per la salute umana, perché quel che sembrano suggerire è che nell’organismo vi sono delle facoltà di recupero che, a certe condizioni, sono capaci di ristabilire la salute senza bisogno d’interventi esterni, né farmacologici, né chirurgici. Se la medicina accademica fosse meno concentrata nella lotta contro la malattia, e un poco più interessata al mantenimento, o al ristabilimento, della salute; se, in altre parole, fosse meno preoccupata di curare, e più di guarire, potrebbe trarre insegnamenti d’immenso valore da queste guarigioni, che apparentemente non hanno alcuna spiegazione logica, e che tuttavia avvengono, contraddicendo tutto il quadro delle sue pretese certezze.
Sarà perché in noi, come diceva Blaise Pascal, non c’è solo l’esprit de géometrie, che comprende e spiega le cose secondo la logica matematica, ma anche l’esprit de finesse, che intuisce e che opera sulle cose, e su se stesso, in maniera diversa, ma non irrazionale, né illogica, ma anzi perfettamente naturale? E se in noi c’è codesto esprit de finesse, perché stupirsi che il nostro organismo conosca più cose di quante ne conosce la nostra mente che pensa secondo gli schemi della logica matematica, e sia capace di fare più cose di quanto essa sia in grado di comprendere e di spiegare? “Vi sono più cose fra la terra e il cielo di quante possa sognarne tutta la vostra filosofia”, dice Amleto all’amico Orazio; laddove “filosofia” va inteso, alla maniera rinascimentale, come “filosofia naturale”, ossia quel che oggi siamo soliti chiamare, semplicemente, “scienza”.
La scienza, in sostanza, non sa e non può spiegare tutto; il nostro livello di coscienza ne sa molto di più. Il nostro organismo e la nostra anima sanno come si combatte il male e come si guarisce; ma poi se ne scordano, perdono la fiducia in se stessi e si affidano alle cure esterne, sovente con poca convinzione. Un indizio prezioso, infatti, riguardo alla fenomenologia delle guarigioni inspiegabili, è dato dal fatto che esse riguardano, praticamente sempre, dei pazienti animati da una fortissima volontà di vivere, o sorretti da una salda fede religiosa, o entrambe le cose insieme; alle quali si aggiunge, talvolta, l’intensa preghiera dei loro amici e parenti.
Sono stati fatti degli esperimenti e delle osservazioni, dai quali emerge che tendono a guarire le persone che hanno una forte motivazione a sconfiggere la malattia, o che hanno una grande fede in Dio, e per le quali c’è chi prega molto; mentre la percentuale di guarigioni spontanee è pressoché nulla nella situazioni opposte, quando il paziente ha perso la volontà di vivere, o quando ha perso la fiducia nelle cure e la speranza della guarigione; o, ancora, quando si tratta di persone sole e abbandonate, delle quali nessuno s’interessa, a parte il personale sanitario.
Il discorso sarebbe lunghissimo, e, peraltro, estremamente affascinante, anche e soprattutto dal punto di vista filosofico: evidentemente, vi sono orizzonti di consapevolezza che sarebbero alla nostra portata, ma che noi rifiutiamo di esplorare e di coltivare, con nostro danno, sia materiale che spirituale. E come al bambino cui la maestra ha ripetuto troppe volte che non è portato per l’aritmetica, finisce per auto-convincersene e, crescendo, non riuscirà mai più a recuperare l’handicap iniziale, forse, però, non per altre ragioni che per una suggestione negativa che inibisce la sua intelligenza in quel particolare ambito; allo stesso modo la maggioranza di noi si è auto-convinta di non sapere, e soprattutto di non potere fare nulla per la propria guarigione e per ristabilire e conservare la propria salute.
E che la suggestione sia realmente un fattore terapeutico importantissimo, se non addirittura decisivo, è noto, in realtà, da sempre: per esempio, ai vecchi medici di campagna, i quali, davanti a sintomi svariati, fisici e psichici, dei loro pazienti, davano ad essi da bere una pozione medicamentosa che era, in realtà, acqua di rubinetto. Si chiamava, e si chiama, “effetto placebo”: l’organismo del paziente, chi sa come, reagisce positivamente ad una siffatta “cura” e manifesta significativi sintomi di miglioramento, e raggiunge perfino la completa guarigione. Ma, obietteranno i soliti irriducibili scientisti, che in quei casi si trattava di disturbi immaginari, di sindromi isteriche, e così via, nate dalla suggestione e che quindi potevano essere scacciate, o esorcizzate, mediante un’altra forma di suggestione. Vero, ma non sempre. In alcuni casi era proprio così; ma in altri si trattava di malattie reali, non di creazioni di una mente ipocondriaca.
Ma perché voler convincere chi è ben deciso a non lasciarsi smuovere, mai, in nessun caso, dalle sue rocciose convinzioni? Egli non capirà mai che lo scopo della medicina non è curare, ma guarire, o, meglio ancora, prevenire la malattia, favorendo la naturale tendenza dell’organismo a mantenersi in salute. Lasciamo costui nella sua prigione dorata: non saprà mai cos’è il profumo dell’ignoto, né mai capirà la bellezza che spira dall’infinito.
Ci sembrano interessanti le riflessioni svolte da Caryle Hirshberg e Marc Ian Barasch nel saggio da loro scritto a quattro mani “Guarigioni straordinarie”. Quando il corpo guarisce se stesso (titolo originale: Remarkable Recovery, 1995; traduzione dall’americano di Orsola Fenghi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995, pp. 314-316): “Solo pochissimi hanno vinto la loro battaglia senza dover abbattere alcune barriere. Analogamente, una nuova medicina deve imparare ad abbattere le barriere, che a volte dividono artificialmente il medico dal paziente, i fatti dai sentimenti, la chirurgia dalla sinergia, la chimica dalla compassione.
Man mano che la guarigione straordinaria acquisterà legittimazione scientifica, saremo sempre più capaci di stimolare la funzione riparatrice innata, di creare un ambiente favorevole all’autoguarigione. È evidente che i dati delle guarigioni straordinarie potranno servire non solo per capire salute e malattie, ma anche per individuare nuove terapie. Spiritualità, genetica, psiconeurimmunologia, ricerca sui rapporti tra mente e corpo sono i tasselli di un gioco di pazienza, che non solo formeranno un quadro nuovo di risanamento integrale, ma indicheranno anche le nuove tecniche per raggiungerlo.
Un sistema medico attento ai bisogni reali del paziente, dovrà basarsi in misura eguale sui valori e le credenze intangibili dell’individuo e su farmaci e operazioni tangibili. Gli esiti terapeutici verranno misurati anche in base ai sentimenti che l’individuo prova per sé, ai suoi rapporti con gli altri, alla consapevolezza di uno scopo, alla certezza di avere un posto unico nell’organizzazione generale delle cose. Solo così avremo una medicina che guarisce oltre che curare.
La mistica e guaritrice medievale Hildegard di Bingen, nata nel 1098 a Bockelheim, in Germania, anticipa curiosamene questa nuova filosofia e pratica delle medicina. Le sue teorie mettono l’accento sull’interrelazione tra corpo, mente, sentimenti e spirito. La cura della malattia, predica, è insita nell’energia vitale, “viriditas”, “freschezza e gagliardia”. Hildegard, secondo un suo biografo, applicava tale concetto a tutte “le cose” viventi, l’energia vitale che emana da Dio, la forza della giovinezza e della sessualità, il potere dei semi, la riproduzione delle cellule, la facoltà di rigenerazione, la creatività”.
I metodi curativi di Hildegard erano nel migliore dei casi una forma di medicina popolare. Ma la medicina del duemila dovrà avere la stessa base di “viriditas” (e “caritas”) se vuole sanare le vite dei pazienti e contribuire a ripristinare ed espandere la nostra conoscenza di noi stessi come esseri umani e non semplici meccanismi biologici.
La medicina, un tempo gioiello della corona del riduzionismo scientifico, ha spalancato una imprevista finestra sullo spirito. Grazie a quanto abbiamo visto nelle guarigioni straordinarie, abbiamo raggiunto l’apice delle speranze di Claude Bernard, fondatore della moderna fisiologia: “Sono convinto” scrive “che quando la fisiologia sarà sufficientemente progredita, il poeta, il filosofo e il fisiologo si comprenderanno a vicenda”. Forse la loro lingua comune sarà quella del sistema di auto guarigione. Allora finalmente comincerà lo studio reale delle guarigioni straordinarie”.
Il giusto concetto della medicina deve partire da un giusto concetto dell’uomo; se l’idea dell’uomo è sbagliata, riduttiva o parziale, la medicina che pretende di curarlo sarà inefficace, se non addirittura dannosa. Il giusto concetto dell’uomo è quello che vede in lui un’unità di materia e spirito: considerarlo solo dal punto di vista biologico, o, al massimo, anche psichiatrico, ma sempre in una prospettiva materialista, negando la sua aspirazione alla verità, è sbagliato e controproducente. E siccome la Verità è Dio, negare o ignorare questo aspetto della natura umana, equivale a tradire l’uomo e a metterlo nelle mani di una cattiva medicina, che non sa curarlo, perché non lo conosce…
Articolo di Francesco Lamendola
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