Quale Futuro? Uomini o Androidi?
Il rischio di esser proiettati in una società distopica, governata e ipercontrollata con una tecnologia che prima o poi vi reclamerà come estensioni di se stessa, non è mai stato così palpabile.
Anche se non vi sentite ancora dentro una puntata di “Black Mirror”, il passo è breve e il vostro immediato futuro potrebbe dipendere da una scelta che siete chiamati a fare ora, finché vi resta un margine di azione. Con chi siete schierati, con i vostri simili o con i criminali che giocano con la vostra pelle? E di cosa avete davvero bisogno? Di “prostituirvi” in cambio di altri trastulli di ultima generazione o di un mondo libero e finalmente vostro?
Nella remota ipotesi che vi sentiste ancora umani e decideste che qualcosa deve esser fatto, toglietevi dalla testa la violenza. In qualunque scontro verreste spazzati via come pula al vento. Così come risulterebbero vani i vostri striscioni colorati, i vostri scioperi o le vostre urla.
A onor del vero, voi siete più numerosi e più forti di qualsiasi esercito ma non possedete nessuna strategia, né di attacco né di difesa e, anche se le aveste, vi mancherebbe la capacità di essere coesi e di far fronte a tutto ciò come un unico gruppo, oppressi contro oppressori. Come auspicato dai vostri aguzzini, la tattica del “divide et impera” ha dato i suoi frutti e sono questi strappi nel vostro tessuto ad avergli consentito di osare oltre il dovuto, dando corpo alle varianti più ambiziose del loro progetto.
Fatevene una ragione, l’unica guerra che potete permettervi ora è quella al glutine, tanto vale evitare i colpi di testa e trovare un modo intelligente per uscire dal pasticcio. Ovviamente, ammesso e non concesso che vogliate ribellarvi, cosa che un vero androide non si sognerebbe mai di fare.
Se solamente aveste fede all’unisono in una vostra “sceneggiatura” e riusciste ad uscire dalla loro smettendo di ascoltarli, di alimentarli e di servirli, la vittoria in qualsiasi battaglia sarebbe, senza ombra di dubbio, vostra. La sfortuna è che non avete un’utopia a cui puntare, né tanto meno la volontà di conseguirla. Ormai si sono presi la vostra immaginazione, colmando i vostri vuoti con sogni preconfezionati e oggetti da desiderare, facendovi credere che chi ne ha di più, vince la partita. E sono talmente sicuri che non rinuncereste mai a tutto questo “valore aggiunto”, che nessuna preoccupazione li ha mai sfiorati. Non hanno però tenuto conto di una cosa, un elemento tanto imprevedibile quanto travolgente, capace di mandare in fumo persino la più diabolica delle pianificazioni: il “fattore sorpresa”.
Cosa ci contraddistingue come Esseri Umani?
Philip Kindred Dick (1928- 1982) è stato uno scrittore statunitense. In vita noto perlopiù nell’ambito della fantascienza, la sua fama crebbe notevolmente presso la critica e il grande pubblico dopo la sua morte, in Patria così come in Europa (in Francia e in Italia, negli anni ottanta divenne un vero e proprio scrittore di culto, anche in seguito al successo del film “Blade Runner” del 1982, liberamente tratto dal suo romanzo “Il cacciatore di androidi”).
In un discorso pronunciato ad un convegno sulla fantascienza tenutosi in una università del Canada, a metà degli anni ’70, Dick cercava di dare un contributo alla comprensione di cosa sia l’umanità. Si chiedeva: “cosa, nel nostro comportamento, possiamo definire specificamente umano? Cosa ci contraddistingue come specie vivente?” Perché qualcosa c’è… Ma cosa?” E il suo tentativo si sviluppava nel confronto tra l’androide e l’Essere Umano.
Il dibattito è tutt’oggi apertissimo, si fanno esperimenti mentali in cui si sostituisce gradualmente il silicio ai neuroni umani per vedere a che punto l’umanità cessa di esistere nell’individuo, il quale da quel momento è da considerarsi un “robot” vero e proprio. Si prova a spremere la coscienza fuori dalla nostra concezione dell’individuo umano, come i rimasugli di dentifricio fuori dal tubetto. Ci si chiede se un termostato sia dotato di coscienza, si formulano mondi possibili in cui l’apparenza e la storia è identica in tutto e per tutto al nostro mondo, ma lì gli elementi chimici che formano la materia sono diversi. Se ne dicono di ogni, a dimostrazione che sul problema ci si arrovella parecchio.
La genuinità sublime della persona Philip K. Dick fuoriesce in quel discorso che tenne in Canada, che ha come fulcro il concetto altrettanto genuino di “ribellione”. Dick fa due esempi ben distinti di atti ribelli. Se l’androide è per Dick tutto ciò che è non-umano, controllabile, prevedibile, manipolabile, il sogno delle dittature politiche e la realtà di questi giorni, allora gli atti di ribellione dovrebbero fornire materiale di analisi per cercarci la “qualità umana”, di cui dovrebbero essere pregni.
Gli esempi che egli usa nel discorso appartengono da una parte alla categoria dell’atto di ribellione “ideologica”, di stampo politico, legata ad un concetto, un’idea che si contrappone ad un’altra; dall’altra parte, a quegli atti volti ad infrangere una regola, simili a semplici ragazzate, come rubare bottigliette di coca-cola in un supermercato.
Ecco uno stralcio del suo discorso: “Mentre i figli del nostro mondo combattono per sviluppare la loro nuova individualità, la loro irriverenza quasi scorbutica per le verità che noi adoriamo, diventano per noi – e con ‘noi’ intendo la classe dirigente – una fonte di problemi. Non mi riferisco necessariamente ai giovani politicamente attivi, quelli che si organizzano in associazioni, con slogan e bandiere, anche perché per me quello è un ritorno al passato, per quanto quegli slogan possano essere rivoluzionari. Mi riferisco a ciascun ragazzo nella sua individualità, mentre si occupa di quelle che definiamo ‘le sue cose’.
Per esempio, potrebbe non infrangere la legge mettendosi seduto sui binari davanti a treni che trasportano truppe militari; la sua trasgressione della legge potrebbe consistere nel prendere la macchina e andare a un drive-in con 4 amici nascosti nel bagagliaio per evitare di pagare. La prima trasgressione ha implicazioni politiche e teoriche; la seconda consiste in una semplice mancanza di accordo sul fatto che una persona debba sempre fare ciò che le viene ordinato, in particolare quando l’ordine proviene da un cartello affisso. In entrambi i casi c’è disobbedienza. Potremmo elogiare la prima considerandola significativa, mentre la seconda potremmo ritenerla semplicemente un gesto irresponsabile. Tuttavia è nella seconda che io intravedo un futuro migliore. Dopotutto, la storia è piena di movimenti di persone organizzate che si oppongono al potere. Qui si tratta banalmente di un gruppo che usa la forza contro un altro, chi detiene il potere contro chi non ce l’ha. E finora, in questo modo, non si è riusciti a realizzare nessuna utopia. E io penso che sarà sempre così.
Diventare quello che io definisco, in mancanza di un termine migliore, un androide, significa ciò che ho detto: permettere a se stessi di diventare un mezzo, oppure essere costretti, manipolati, resi un mezzo inconsapevolmente o contro la propria volontà. Il risultato è lo stesso. Ma non puoi trasformare un umano in un androide se l’umano infrange le leggi ogni volta che ne ha la possibilità. L’androidizzazione richiede obbedienza. E, soprattutto, prevedibilità.
Che sia per pigrizia, scarsa capacità di concentrazione, depravazione, tendenze criminali… quali che siano le etichette che volete affibbiare al ragazzo per spiegar la sua inaffidabilità, vanno bene. Ciascuna significa semplicemente una cosa: possiamo dirgli più e più volte cosa fare, ma quando viene il momento che lui lo faccia, tutte le istruzioni subliminali, tutti gli indottrinamenti ideologici, tutte le droghe tranquillanti, tutta la psicoterapia sono una perdita di tempo. Non salterà allo schiocco della frusta“.
Fonti: https://statoquantico.it/androidi-ribelli/ – https://filmperevolvere.it/philip-k-dick-a-day-in-the-afterlife-subita/ – https://it.wikipedia.org/wiki/Philip_K._Dick
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