Libero arbitrio: siamo liberi o prigionieri del nostro cervello?
di Luciano Peccarisi
Un’incursione tra alcuni filosofi e scienziati di oggi. Alcuni dicono che noi siamo solo macchine, sia pure altamente sofisticate. Le macchine, tuttavia, non hanno vita spirituale e non sono responsabili di quello che fanno.
“Il processo d’inizio di un’azione volontaria”, come dice Libet, “avviene in modo inconscio”. A parte nelle patologie, quali ad esempio la fuga epilettica (dove si cammina senza coscienza) o anche nel sonnambulismo che è una condizione particolare. Ci muoviamo spesso in modo automatico senza nemmeno rendercene conto. Guidando l’auto, siamo in grado di frenare di colpo davanti ad un ostacolo, prima ancora di capire cosa sta succedendo. Oppure, se percorriamo un tragitto percorso tante volte, possiamo farlo distraendoci, parlando con qualcun altro, o seguendo il corso dei nostri pensieri, arrivando comunque alla meta senza accorgerci come.
Alcuni dicono che l’uomo è solamente una macchina anche se molto sofisticata. Le macchine però non hanno vita spirituale e non sono responsabili di quello che fanno. La maggior parte di noi attribuisce al cervello una vita spirituale, dovuto forse alla tradizione religiosa e filosofica e alla sua ostinazione a distinguere nell’essere, due regioni di natura (ontologicamente) diversa, quella dell’anima (mente) e quella della materia (cervello).
Le neuroscienze si sforzano di colmare lo spazio vuoto fra spirito e materia, riducendo la ‘res cogitans’, la sostanza pensante cartesiana, all’organizzazione morfologica e funzionale del cervello umano (la ‘res extensa’). Sarebbe un bel problema se l’attività mentale fosse rigidamente deterministica, l’etica non esisterebbe e la vita sarebbe senza significato e senza valore.
La consapevolezza, il senso soggettivo, il sentimento di spiritualità, creatività, volontà e d’immaginazione, come sappiamo, rendono piena la nostra vita. Ognuno, benché condizionato da fattori genetici, ambientali, sociali e culturali, si sente libero. Forse però anche un cane si sente libero. Forse il libero arbitrio si presenta quando la materia raggiunge un certo grado di complessità.
Per il determinismo, il comportamento è una catena di eventi; una cascata di reazioni che si susseguono, e alla fine uno stimolo ordina di pensare e parlare. In questo caso, allora io non ho scelto di parlare, e quello che sto facendo non è un atto libero. Per l’indeterminismo, una piccola moneta lanciata in aria nella mia testa decide quel che devo dire e cosa devo fare, anche in questo caso, allora non sono responsabile delle mie azioni. Il comportamento deve essere imprevedibile ma non completamente casuale.
L’uomo può rappresentarsi mentre è in azione e, con un certo distacco, guardarsi dall’esterno e rifletterci sopra… Questo tipo di autocoscienza è tipica di noi umani con il linguaggio. Possiamo rappresentarci parte di una storia. Storie determinate da molteplici fattori e che grazie alle peculiarità della nostra memoria, lasciano forse la possibilità di una vera autodeterminazione.
Francis Crick, premio Nobel, disse: “Voi, con le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre memorie e le vostre ambizioni, il vostro senso d’identità personale e il vostro libero arbitrio, voi non siete altro che (…) un mazzo di neuroni. L’uomo quando era senza linguaggio si trovava probabilmente in una condizione molto simile a quella di uno scimpanzé. Gli animali fanno poche cose e sempre le stesse, ma tanto più è vasto il repertorio del comportamento e più si attenua la loro rigidità comportamentale. Certo il mondo attorno a noi ci induce a fare certe scelte. Pensiamo alla pubblicità che preme sulle nostre emozioni. Esiste una forte componente emotiva nei prodotti che ci circondano; le marche, ad esempio hanno assunto un ruolo di rappresentazione emotiva che spinge il consumatore verso un prodotto o lo respinge”.
È difficile predire il nostro comportamento, fondare un’etica, senza tener conto di tutti questi fattori. Nella ricerca per svelare le interazioni complesse fra comportamento, cervello, e genoma non ci possono essere alternative: i genetisti, i biologi molecolari, i neuroscienziati, gli psicologi, i linguisti e anche i chimici e i fisici, tutti dovranno lavorare insieme. Aggiungerei i filosofi, gli scrittori e gli artisti.
Secondo Daniel Dennett, un programma di computer trasforma meccanicamente simboli in altri simboli sulla base di regole assegnate, ma un gran numero di sottoprogrammi possono formare un enorme sistema integrato che può sviluppare capacità autenticamente mentali, compresa la coscienza.
Ogni cellula del corpo è capace di eseguire un numero molto limitato di compiti: è priva di mente come i più elementari organismi viventi. Mettendo però insieme un numero incredibilmente alto di queste cellule si ottiene una persona reale, dotata di coscienza e con un’autentica mente. La libertà non è altro che un ampliamento dello “spazio di manovra” e di varietà nel comportamento. Consentendo di rispondere in maniera appropriata ad un’ampia gamma di situazioni. La mente umana trasformata dal linguaggio è capace di ritagliarsi un piccolo spazio di libertà in un universo deterministico.
Gli animali hanno una mente che lavora in automatico; serve per attaccare la preda, prendere le bacche in bocca o cercare il partner di sesso opposto. Poi si arriva nell’uomo ad un sistema flessibile e quasi infinito di scelta, che possiamo chiamare libertà, nel pieno senso del termine. In una persona reale il libero arbitrio è reale, ma non è una caratteristica indipendente dalla sua esistenza, come lo è invece la forza di gravità. Non dispensa dalla legge di causa effetto di tutto il resto del mondo. Essendo una creazione evoluta delle attività e delle credenze umane “è reale almeno quanto le altre creazioni umane come la musica e la moneta; ed è decisamente più preziosa”.
La libertà consiste nell’adottare il comportamento più conveniente di fronte alle situazioni ambientali con una capacità d’adattamento sempre più efficace. Mi è utilissimo, anche se è illusorio, questo senso di essere libero perché mi guida alla responsabilità della mia persona e a giudicare delle responsabilità altrui. Non possiamo evitare di credere di essere agenti liberi. È un’idea che fa da sfondo e conferisce senso alle nostre azioni. Solo qualcosa che possiede una mente può essere un candidato a sviluppare un simile concetto rivoluzionario. Siamo meravigliose macchine biologiche capaci di stupirsi, dolersi e rallegrarsi. La libertà come calcolo finito delle possibilità di un essere senziente. Una libertà dal volto umano, cucita su misura dall’evoluzione addosso agli uomini e capace di fondarne la vita in società.
La libertà umana è più giovane della nostra specie ed evolve come ogni altra caratteristica della biosfera. Solo chi vive in società con altri simili, può avviare quel processo di negoziazione che trasforma tanti cervelli in tante menti, tanti agenti razionali in altrettanti agenti liberi. E’ solo un caso che siamo una specie non più soggetta ai vincoli naturali e in grado di decidere da soli. “Siamo cresciuti molto a livello demografico, in tecnologia e in intelligenza fino a raggiungere una posizione di potere incredibile. Siamo noi ora quelli che dipingono, quelli che hanno il pennello in mano. Abbiamo delle responsabilità e questo fatto andrebbe preso seriamente in considerazione”.
Gerhard Roth, che è Direttore dell’istituto di ricerca sul cervello dell’Università di Brema, sostiene che “per l’avvio e il controllo delle azioni volontarie, è necessario che molteplici centri motori all’interno e all’esterno della corteccia cerebrale collaborino”. Tra le aree cerebrali che ci fanno coscienti vi è, ad esempio, l’area associativa orbito-frontale. Quest’area ha a che fare con le rappresentazioni interne dei nostri scopi, delle nostre motivazioni e dei sentimenti che le accompagnano, oltre che delle conseguenze delle nostre azioni. “Per questo motivo quest’area, viene considerata da alcuni ricercatori come ‘sede’ dell’etica e quindi della nostra ‘coscienza’ (ovviamente nel senso morale del termine)”.
Altri processi di elaborazione che avvengono al di fuori della corteccia o nelle regioni sensoriali, rimangono del tutto inaccessibili alla nostra coscienza. Tuttavia, trovarsi in uno stato di coscienza presuppone che queste regioni siano contemporaneamente attive o lo siano state in precedenza. I nostri differenti stati di coscienza, rappresentano il prodotto finale di processi di elaborazione estremamente complessi, che si svolgono a livello inconscio. “Ciò vale, in ultima istanza, anche per la sensazione di essere liberi nelle nostre intenzioni e nelle nostre azioni, ossia per la nostra impressione soggettiva di essere dotati di libero arbitrio”.
In questa complessa ‘costellazione’ risiede il fondamento neuronale di ciò che possiamo chiamare ‘autonomia d’azione dell’individuo’, cioè la determinazione delle nostre azioni basate sull’esperienza. Il cervello parla con se stesso, usa un certo codice interno per comunicare l’informazione da certi gruppi di neuroni ad altri. Di sicuro, i centri di controllo della memoria cognitiva ed emotiva lavorano a livello per lo più inconscio. Ciò significa che, nonostante tutta la sua importanza funzionale, l’io cosciente non esercita un ruolo decisivo nelle azioni che considera prodotte autonomamente, ma ha solo un compito consultivo.
Wegner Daniel, professore di psicologia a Harvard, afferma che la nostra sicurezza che le azioni siano causate esclusivamente dalla nostra volontà cosciente, è un’illusione. Un’illusione utile, “è un segnale che assomiglia per molti versi ad un’emozione: attraversa la mente e il corpo per darci la paternità delle nostre azioni”. La percezione di agente, cioè di colui che fa e agisce, ci fornisce un senso di scopo, ci fa credere che la nostra azione possa effettivamente influenzare gli eventi. Un ottimista pensa che agendo può creare una differenza sulla realtà; un pessimista pensa invece che tutto vada sprecato e niente crei realmente una differenza. Dunque egli agisce in accordo col senso di libertà d’azione che prova, che può definirsi un ‘sentimento cognitivo’.
“Se riuscite ad infilare di nascosto nel mio flusso di coscienza le basi per delle false credenze, potete convincermi che sto prendendo decisioni ‘libere’, quando invece siete voi a controllare le mie azioni”. “Non possiamo assolutamente conoscere l’enorme numero delle influenze meccaniche che agiscono sul nostro comportamento, per non parlare del tenerne traccia, perché noi abitiamo una macchina straordinariamente complicata”. Abbiamo l’idea di avere il controllo su di noi perché semplifica le cose a nostro beneficio, ma è un’idea distorta della realtà.
Per P.Churchland, filosofo di San Diego, la nostra vita cognitiva, vale a dire come pensiamo alle cose, il conoscere, curiosare, si svolge sempre nell’ambito di regole deterministiche, leggi di causa effetto, leggi fisico-chimiche che per loro stessa natura sfuggono al soggetto. Se consideriamo impossibile prevedere il comportamento di un ciclone, per via della difficoltà insormontabile di conoscere tutte le forze in gioco, anche per il cervello umano è la stessa cosa. Non è possibile prevedere un comportamento futuro, ma solo per la sua complessità. Il libero arbitrio, cioè la capacità umana di trascendere l’ordine naturale delle cause, è perciò un’illusione; l’imprevedibilità è dovuta alla nostra difficoltà di calcolo, ma lo schema generale della vita psichica dell’uomo è del tutto immanente all’ordine causale naturale.
Nel funzionamento del cervello umano una parte fondamentale è occupata dal cosiddetto ‘spazio sociale’, vale a dire dall’ambiente in cui l’individuo è immerso, impartisce gli schemi di base e impara a seguire, per comportarsi in maniera adeguata nel mondo circostante. Non ci sono comportamenti morali ‘giusti’ contrapposti a comportamenti ‘sbagliati’. Esistono solo comportamenti adeguati, cioè in grado di entrare in una combinazione positiva con l’ambiente circostante. Se tutti mutassimo l’immagine di noi stessi, come “creature autocoscienti dotate di credenze, desideri, emozioni e del potere della ragione”, certo la civiltà umana cambierebbe in modo profondo.
Il filosofo americano della mente e del linguaggio J. Searle, fonda la libertà (discutendone) nella biologia. Non possiamo disconoscere che tutti i nostri stati mentali sono causati da processi neurobiologici che si producono nel cervello. La filosofia sul libero arbitrio non riesce a conciliare la realtà naturale ed oggettiva con una mente soggettiva ed individuale, e ad accettare che la soggettività e il libero arbitrio siano in ogni caso il prodotto di attività cerebrali. È possibile supporre però “allo stato attuale della fisica e della neurobiologia, che vi sia una componente ‘quantistica’ nella spiegazione della coscienza”.
Esiste, infatti, a livello quantistico un’insufficienza tra causa ed effetto. Ciò che accade nel passato di un sistema, non è sufficiente a determinare una precisa condizione nel futuro del sistema stesso, e questo lascia spazio alla potenzialità del caso. Quindi, anche alla libertà di scelta. Predizioni fatte a livello quantistico sono statistiche perché c’è un elemento di aleatorietà. In ogni caso “se il libero arbitrio è una caratteristica del mondo e non semplicemente un’illusione, allora esso deve avere una realtà neurobiologica: alcune caratteristiche del cervello devono essere all’origine del libero arbitrio”.
Al livello del sistema, nei piani superiori per così dire, abbiamo la coscienza, l’intenzionalità, le decisioni e le intenzioni. Al microlivello abbiamo i neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. Il comportamento dei microelementi, che compongono il sistema determina le caratteristiche del sistema. Vi è però una lacuna che non si riesce a ridurre a nulla di materiale. L’esistenza di questo gap, ci induce a ritenere che debba esistere un corrispettivo della lacuna anche a livello neurofisiologico. Ed è proprio questo che fa sì, che l’agire dell’uomo non sia prodotto in maniera deterministica, dall’insieme degli stati cerebrali antecedenti all’azione. Anche se non sappiamo perché e come l’evoluzione ci abbia fornito di libero arbitrio, “non possiamo agire se non presupponessimo la nostra libertà”.
Concludendo
La libertà è forse bene riferirla ad un soggetto in carne ed ossa, capace di porsi come causa delle proprie azioni, molto diverso da una foglia sbattuta dal vento, ma anche da un animale che fa sempre le stesse cose, seguendo in ciò quel che c’è scritto nei suoi geni. La sua rappresentazione della realtà, grazie al linguaggio, è molto più ricca e, conseguentemente, le opzioni a sua disposizione, oltre a quelle genetiche, sono molto più numerose. L’uomo può giudicarsi, “può rettificare alcuni comportamenti, aggiustare certi percorsi e cambiare idea”, perfino in barba ai suoi geni!
Tratto dall’articolo: “Libero arbitrio – siamo liberi o prigionieri del nostro cervello? Un’incursione tra alcuni filosofi e scienziati d’oggi”, di Luciano Peccarisi
A cura di www.fisicaquantistica.itFonte: http://www.filosofico.net/libarblucianopec.htm
noi abitiamo una macchina straordinariamente complicata…
Se non chiariamo in modo definitivo chi è che abita questa macchina, a mio avviso non serve chiedersi cos’è il libero arbitrio.
Chi siamo noi, veramente?