Messaggio per gli esseri umani che pensano di essere liberi
di Mirco Mariucci
Siamo convinti di avere tutta la libertà del mondo: la libertà di stampa, la libertà d’espressione, la libertà di culto, il libero mercato, le frontiere libere, la libertà di poter scegliere il corso di studi preferito e di cercare/creare il lavoro adatto a noi.
La parola libertà riecheggia quotidianamente nelle case della massa assopita dai programmi Tv, insinuandosi perfino nelle menti malinformate di chi legge gli articoli di giornale dei pennivendoli asserviti al sistema. Ma che strano… chissà perché tutta questa continua necessità di rimarcare il concetto di libertà? Se vivessimo realmente in condizioni di libertà, che bisogno ci sarebbe di sottolinearlo continuamente? Davvero siamo così liberi come ci dicono o forse ci stiamo solamente illudendo di esserlo?
Per cercare di rispondere a queste domande, voglio raccontarvi l’incredibile storia di un normale essere umano che visse tutta la sua vita credendo di essere libero, una storia che riguarda da vicino un po’ tutti noi…
“Salve, io sono un essere umano e so di essere libero, proprio come voi che state leggendo questa storia! Come faccio ad esserne certo? Oh, è molto semplice! Basta ripercorrere le tappe fondamentali della nostra vita…”
La libertà permea così a fondo la nostra esistenza da manifestarsi fin dal preciso istante nel quale veniamo al mondo. Nostro padre è talmente libero da non riuscire a trovare il tempo necessario per veder nascere suo figlio/a. Vorrebbe essere lì, ma non può perché è troppo impegnato con il suo lavoro. Tornati a casa dall’ospedale, pochi mesi più tardi, anche nostra madre ci abbandona per molte ore al giorno, perché la maternità finisce, ed è di nuovo libera di tornare a lavorare.
I papà e le mamme sono talmente poco condizionati dalle proprie attività lavorative, che non possono vedere crescere i loro figli se non in modo fugace, sfruttando quei rari momenti di freschezza e lucidità recuperati nei giorni festivi. Quasi sempre, in virtù esclusiva della loro libertà, i nostri genitori sono costretti a consegnarci a delle apposite strutture: prima gli asili nido e poi gli asili veri e propri.
Difficilmente infatti un genitore può permettersi il lusso di rimanere a casa, perché con un solo stipendio, oggi, si è liberi di non riuscire ad arrivare a fine mese. E per fortuna che i nostri genitori ce l’avevano un lavoro, stabile e sicuro, altrimenti sarebbero stati talmente liberi, che non avrebbero neppure pensato di metterci al mondo, visto che poi non sarebbero riusciti a sfamarci.
Poco dopo aver iniziato a camminare e a proferire parola, siamo talmente liberi che i nostri genitori ci spediscono a scuola. E meno male che ci sono i rientri pomeridiani, altrimenti quegli stacanovisti dei nostri genitori avrebbero dovuto assoldare i nonni, bene che vada, o una baby-sitter.
A scuola siamo talmente liberi di scoprire il mondo e di formare la nostra visione personale, che fin dai primi giorni ci costringono a stare seduti per tutto il tempo, al fine d’inculcarci delle verità precostituite, avvalendosi di meccanismi traumatici e ricattatori, come le note, i voti o ancora peggio, la bocciatura. Lo fanno a fin di bene, ovviamente! Se non fosse che i programmi scolastici sono sempre stabiliti dal ministero dell’istruzione, un organo fondamentale del governo: un ‘candido’ strumento al servizio del benessere di tutti gli esseri viventi… ah scusate, mi sono confuso, quello avviene nel modo delle fiabe!
Nel mondo reale lo stato è il più potente strumento al servizio degli interessi del potere che, in un’economia capitalistica, coincidono con il raggiungimento del profitto dei capitalisti, e non con il benessere di tutti gli esseri viventi!
I programmi ed i metodi d’insegnamento vengono stabiliti così bene ed in modo così libero che a scuola c’insegnano che non si deve esercitare lo spirito critico, ma che si devono imparare a memoria le (presunte) verità che l’insegnante ci presenta, esattamente come sono, senza discutere, sulla base di un validissimo principio di autorità: l’ipse dixit.
La logica, la matematica, l’approccio scettico-razionale e quello scientifico? No, quelle sono cose inutili, ostiche, difficili, che interessano solo i geni, che conducono alla pazzia e all’emarginazione sociale. Ovvio, se non fosse così, il giovane studente, divenuto adulto, potrebbe esercitare il suo spirito critico per rimettere in discussione il potere, e questo, come tutti sanno, è bene che non avvenga in una società dove regna la libertà di mantenere sotto controllo un gran numero di persone!
Già che ci sono, nei programmi inseriscono pure qualche ora d’indottrinamento religioso, tanto per essere sicuri che i ragazzi non imparino mai a pensare, ma che invece credano in modo acritico fideistico a ogni sorta di assurdità. Ovviamente abbiamo la libertà di culto, eppure siamo così liberi, ma così liberi di scegliere la nostra religione o di credere in ciò che vogliamo, che stranamente quasi tutti praticano il medesimo credo dei propri genitori, salvo rarissime eccezioni.
Siamo talmente liberi che arrivati a 13/14 anni già bisogna scegliere un indirizzo per la scuola superiore, senza neanche avere la più pallida idea di che cosa significhi realmente quella scelta per il nostro futuro; eppure, ci dicono… è bene che decidiamo liberamente in prospettiva del lavoro che vorremmo fare da grandi.
Siamo talmente liberi che già a scuola iniziano a catalogarci e a etichettarci, impartendoci un sapere settorializzato e marchiandoci a vita con delle valutazioni. Non c’è un corso di studi volto allo sviluppo dell’interezza dell’essere umano, perché il capitale non ha bisogno di simili individui, ma di specifici automi. Gli attori dell’economia di libero mercato pretendono che la scuola e l’università sfornino macchine per svolgere precisi compiti o rivestire definiti ruoli. Macchine che devono essere intercambiabili l’una con l’altra, in modo da avere uno scarso valore commerciale ed essere così maggiormente ricattabili.
Ma la cosa più importante è che gli studenti non devono capire, nella maniera più assoluta, di essere “umani”, ovvero individui unici ed irripetibili, che hanno un valore intrinseco e incommensurabile. Non devono neanche comprendere il reale valore del tempo della vita, né la straordinaria importanza della libertà, né tanto meno il fatto che la complessità dell’esistenza riserva loro uno spettro pressoché infinito di possibilità, altrimenti non si sottometterebbero mai in modo libero e volontario, alle assurde necessità del sistema capitalistico basato sull’ideologia del libero mercato.
Dopo ulteriori 5 anni di studi demotivanti, noiosi e forzosi, che finiscono per allontanare quasi tutti gli studenti dalla passione per il libero pensiero e dalla vera sete di conoscenza, saremo talmente liberi da dover effettuare un’altra scelta gravosa: andare a lavorare, oppure continuare con gli studi universitari per poi andare a lavorare solo un po’ più tardi.
Ovviamente prima d’iniziare a lavorare, pena il morire di fame, sia chiaro, sempre e comunque in modo volontario, dovremo cercare “il” lavoro che pensiamo di voler fare, che però dopo qualche mese di ricerca diventa “un” lavoro che vogliamo fare che, dopo un altro po’ di attesa, diventa un apprendistato sottopagato, un’attività di volontariato gratuita o alla fine quella che definiamo disoccupazione.
Iniziamo così a sperare liberamente di poter lavorare a qualsiasi condizione. Quindi, se il lavoro non c’è, possiamo inventarcelo, diventando imprenditori di noi stessi! Esattamente! Siamo talmente liberi che le attività che possiamo pensare di avviare devono essere necessariamente remunerative, altrimenti non sarebbero economicamente sostenibili. Perciò, se per disgrazia ciò che ci piace fare, non genera profitto, l’economia di libero mercato c’impedisce di farne la nostra principale attività di vita. Pazienza, metteremo liberamente i nostri sogni in secondo piano, perché la nostra scelta libera è di lavorare e non di fare ciò che vorremo fare!
Così, se non abbiamo denaro per vivere di rendita (potendo dedicare il nostro tempo a tutto ciò che ci piace), o se non abbiamo abbastanza capitale e/o idee per avviare un’attività che generi profitto, bisognerà, sempre in tutta libertà, recarci a mendicare il lavoro da chi invece di capitale ne possiede perfino in abbondanza, a causa della libertà di accumulare anche in eccesso, nonostante altri esseri umani stiano liberamente vivendo in povertà da qualche altra parte del mondo.
Li chiamano imprenditori, datori di lavoro o benefattori, perché ti offrono la possibilità di poter lavorare in cambio del frutto del tuo lavoro e del tuo tempo, che gli viene riconosciuto grazie alla nostra volontà di donarglielo, che sia chiaro! Una volta firmato un contratto, potremo finalmente iniziare a lavorare. Per ringraziarti del fatto che tu con il tuo lavoro manterrai lui e la sua famiglia, consentendogli perfino di vivere nel lusso, il capitalista sarà libero di sottoporti a ritmi di lavoro disumani, e sarà anche libero di licenziarti, se per disgrazia ti rifiutassi di svolgere diligentemente le mansioni che ti verranno assegnate. Tu invece, essendo un lavoratore subordinato, sarai libero esclusivamente di ringraziare per la possibilità di essere sfruttato, o di rimanere senza lavoro, rischiando così di diventare povero e dormire per strada. Prima di tutto però, per meritarti l’assunzione, dovrai liberamente sottoporti a dei test psico-attitudinali, come se fossi una cavia da laboratorio.
Perché ci fanno questo? Sempre per il nostro bene, non c’è posto per tutti, quindi sono costretti a scegliere il migliore. E gli altri? Quelli che rimangono fuori? Gli altri sono liberi di cercare un altro lavoro o di vivere in povertà, ovviamente. Proprio così! Perché in un mondo dove regna la libertà, gli esseri umani non hanno la certezza di trovare un lavoro dignitoso che gli permetta di vivere serenamente la vita, no! In un mondo veramente libero, il lavoro è mal ripartito: invece di lavorare tutti 5-6 ore, c’è chi lavora 8-10 ore e chi niente; così gli esseri umani devono scannarsi vicendevolmente per farsi assumere, provocando la disperazione degli altri e la propria (illusoria) felicità, che purtroppo durerà ben poco.
Infatti chiunque riesce a trovare un lavoro ben presto si accorge di essere talmente libero, ma talmente libero, da non aver più tempo per fare niente al di fuori dell’ambito della sua attività lavorativa. In pratica il lavoro diventa la sua vita e la sua vita diventa il suo lavoro, e questa rappresenta la massima espressione di libertà per un lavoratore subordinato (e non solo!). Ma il lavoro rende liberi, giusto?
In generale, chi lavora è talmente libero che si comporta come un carcerato spontaneo, che si rinchiude volontariamente nella propria cella per 8-10 ore al giorno per 40 anni. Quest’attività protratta per un tempo così elevato provoca da sempre problemi psico-fisici di ogni genere. Che lavorare sia estremamente bello, salutare e divertente è un fatto ovvio. Infatti il lavoratore medio è talmente motivato e si reca talmente liberamente al lavoro il lunedì mattina, che i medici si sono dovuti inventare un nome da dare ad una nuova sindrome che, con molta fantasia, hanno deciso di chiamare: “sindrome del lunedì” (in Italia ne soffrono 6 lavoratori su 10).
Il nostro ruolo, che pensiamo di aver scelto liberamente tra quelli disponibili e al quale abbiamo avuto la libertà di adattarci, non è stato concepito per essere bello, piacevole o motivante, ma è stato ideato per essere funzionale al profitto del capitale. Così, pur subendo volontariamente un furto da parte dei capitalisti e nonostante svolgeremo un ruolo incompatibile con la nostra natura umana, avremo un misero stipendio, che useremo per comprare una macchina da usare tutti i giorni per andare liberamente al lavoro; una bella casa, che utilizzeremo per dormire quando non saremo al lavoro; del cibo scadente che servirà solo per mantenerci in vita; numerose cianfrusaglie, quali vestiti di marca, che poi resteranno quasi sempre in armadio perché non avremo neanche il tempo per indossarli; oltre a un non ben precisato numero di ammennicoli di scarsa qualità, acquistati in modo libero a seguito di continue pressioni psicologiche dovute alla pubblicità o ad altri condizionamenti sociali.
In questo modo saremo liberi e felici di far arricchire i nostri benefattori lavorando con modalità disumane; di pagare un mutuo, che ci costringerà a lavorare minimo per altri 30 anni, con somma gioia degli azionisti della banca; e di alimentare i processi consumistici, che riprodurranno ritmi di consumo sempre più rapidi, in modo da generare un maggior profitto per i capitalisti, oltre che un indesiderabile inquinamento ambientale. Con il nostro libero consumo di prodotti, che inspiegabilmente si guastano, non sono riparabili, diventano obsoleti e fuori moda, spingeremo la macchina economica ancora più velocemente, permettendo così anche ad altri esseri umani di procurasi liberamente la propria condizione di asservimento.
I vestiti alla moda e la nuova auto però, aumenteranno la probabilità d’incontrare il/la compagno/a della vita che, in modo del tutto libero, e non a causa di consuetudini sociali, decideremo di sposare, salvo divorziare altresì liberamente, dopo qualche anno. Il tutto non prima di aver messo al mondo delle creature indifese che, a loro volta, saranno liberamente costrette a subire la stupidità dei propri genitori, vittime delle inevitabili complicazioni di una convivenza forzosa e di un mix illusorio di fedeltà e amore eterni.
La nostra vita andrà avanti tra libere privazioni, dovute alla mancanza di tempo e/o di denaro riconducibili all’attività lavorativa, sperando di continuare a lavorare fin quando non saremo vecchi e inefficienti per generare profitto. Fine della storia. Perché? E’ semplice: non succederà più niente di significativo. Saremo diventati dei perfetti ingranaggi al servizio della macchina economica. Strapperemo i fogli dal calendario uno dopo l’altro, conducendo giornate sempre più simili, sempre più vuote e sempre più inutili.
Il resto della nostra vita volerà via… fin quando il capitale, dopo averci sfruttato per 40 anni, ci getterà come dei rifiuti industriali. Saremo liberi di smettere di lavorare, percependo addirittura una misera pensione! Avremo 70 anni, e molto probabilmente verseremo in condizioni psico-fisiche indecorose. Impiegheremo quasi tutta la pensione per acquistare liberamente i medicinali che ci serviranno per sopravvivere altri 10-15 anni, bene che vada, con somma gioia delle multinazionali del farmaco.
Dovremo decidere che cosa fare di quel poco tempo libero che avremo ancora a nostra disposizione, prima di scegliere liberamente di finire in un ospizio, in un letto d’ospedale o di passare a miglior vita, ma a quel punto lo spettro delle infinite possibilità, che ci si manifestava in tutta la sua magnificenza innanzi ai nostri occhi da giovani, la cui vista ci veniva sapientemente preclusa dai condizionamenti del sistema, si sarà ridotto così tanto, ma così tanto, che saremo liberi di sceglie un qualsiasi elemento d’un insieme vuoto. In quel preciso istante, ripercorrendo all’indietro la nostra esistenza, coglieremo l’inganno e realizzeremo di non aver vissuto un sol giorno in condizione di libertà, ma di esserci illusi quotidianamente, tra una costrizione e l’altra, di essere liberi.
Non siamo veramente liberi, piuttosto ci convinciamo di esserlo. Siamo ovviamente liberi di comportarci secondo i dettami imposti dal sistema, ma se proviamo ad uscire dagli schemi veniamo immediatamente emarginati, presi per pazzi e rischiamo di finire in povertà.
La complessità d’un essere umano è straordinaria, le sue potenzialità sono infinite e noi che cosa diventiamo? Una commessa, un operaio, un’impiegata, un meccanico, una giornalista, un avvocato… Sacrifichiamo 8-10 ore al giorno per il lavoro e non ci resta più tempo per vivere, per esprimere la nostra unicità.
Ci hanno insegnato a credere che la schiavitù derivante da un lavoro totalizzante e subordinato sia un diritto da invocare per conquistare indipendenza e libertà. E dopo anni di formazione, propaganda e lavoro, la maggior parte degli esseri umani non è più neanche in grado di pensare, ma si adatta a schemi e idee già esistenti in modo acritico-fideistico, figuriamoci se simili individui possono essere in grado di agire in modo libero!
Per essere fisicamente liberi, bisogna prima liberare la mente, e per farlo l’unica via praticabile è quella di adottare una forma mentis scettico-razionale, allenandoci ad esercitare il nostro spirito critico. Non saremo mai liberi fin quando non ricominceremo a pensare, perché se la mente è ridotta in catene allora anche il corpo non può che vivere in condizioni di privazione di libertà.
Pensate! Rimettete in discussione il sistema sociale nel quale vivete. Per farlo, usate la logica e la razionalità. Cercate di fuggire dai condizionamenti e dalle false necessità. Analizzatele e smontatele una ad una. Scacciate i sentimenti di odio, di rancore e d’arrivismo. Allontanate la sete di fama e di successo. Ripudiate il potere, l’opulenza. Riconoscete l’inutilità della lotta e della violenza.
Allontanate l’ideologia del merito e della competizione. Aprite la vostra mente ai sentimenti di amore, di fratellanza e empatia; riconoscete la superiorità della cooperazione. Pensate a voi stessi ed alla natura che vi circonda; pensate agli altri e siate consapevoli di ciò che potreste fare per migliorare l’esistenza di tutti gli esseri viventi.
Capite l’importanza di avere il giusto, il necessario; la follia di sfruttare e del farsi sfruttare. Concentratevi ancora, e riflettete… prendetevi tutto il tempo di cui avete bisogno… cercate tra le vostre passioni più sincere, tra i vostri reali interessi e domandatevi: che cosa voglio fare realmente nella vita? Bene, ascoltate la vostra voce interiore, quella è la risposta esatta!
Articolo di Mirco Mariucci
Fonte: http://utopiarazionale.blogspot.it
Libera volpe in libero pollaio (Latouche, mi sembra).Un mio parente falegname, quando ero bambino, mi invitava ad andare da lui a lezione di libertà. “Io sono libero di andare a Venezia, nessuno me lo può impedire. Ma non ci posso andare perchè non ho i soldi”