Accettazione di Situazioni, Persone e Prove
di Associazione Pax Cultura
Esistono delle leggi: le leggi di Dio. Noi possiamo riconoscerle o ignorarle. Questo non cambia la realtà. La scelta del nostro libero arbitrio consiste nel collaborare od opporci tenacemente ad esse per ignoranza.
Esse sono come note che risuonano nell’infinito, non fanno rumore, non sono eclatanti, ma spingono imperterrite verso il loro fine: nulla può fermarle. La legge del Karma e della Rinascita è una di queste.
È come un punto fermo che si espande con forza inesorabile verso il compimento del suo scopo. È come una forza della natura a cui l’uomo non può opporsi. Anzi, più resiste, più si ribella e più le prove della vita diventano dolorose, creando un circolo vizioso, aggiungendo dolore a dolore, creando sensi di colpa, accecamento, disperazione e atti violenti.
Un altro modo di reagire alle prove della vita è il subirle. Si soffre meno, si evitano alcune conseguenze esterne, ma non quelle interne, come la depressione e l’inaridimento interiore, ma soprattutto non si riconosce e non si apprende l’insegnamento, se non la sopportazione. Certo l’uomo può continuare quanto vuole a cercare le risposte con la sua mente razionale, ma intanto “il punto” si espande, spinge.
Dove spinge? È qui l’incognita, spinge alla sorgente, alla realizzazione consapevole della coscienza.
La paura quando si brancola nel buio, è che la sorgente potrebbe essere il “nulla”. Ma la nota risuona… non c’è via di uscita… Cosa fare allora? Accogliere, affidarsi… a cosa? A Dio.
Ma questa non è una soluzione, non può esserlo… Per millenni l’uomo ha cercato una risposta razionale alle sue domande, non è accettabile. È una imprecazione, ora nel ventunesimo secolo, dire, semplicemente, dobbiamo affidarci. Non è possibile, questo lo facevamo già millenni fa.
Allora tutto è stato inutile, secoli e secoli di dolore, di studi, di ricerca per arrivare alla stessa conclusione: affidarsi! Così sembrerebbe a prima vista, ma non lo è.
Oggi affidarsi non è più una debolezza, un senso di impotenza, ma è “un’alchimia”. È apertura alla vera conoscenza, è saggezza, è coscientemente accettare di essere guidati dalle leggi di Dio, studiate e riconosciute.
Ma quale Dio? Dov’è questo Dio? È qui la risposta diversa dal passato. Dio non è lì in qualche posto nel cielo infinito, ma è qui dentro di noi che emette la Sua nota senza sosta. A questo è servito tutto il travaglio umano: a scoprire che Dio è “quella nota”.
Ascoltare “quella nota” significa permettere che la divinità che è in noi si manifesti. Come? Accettando intelligentemente tutto della vita, chiedendosi a cosa serve quello che ci sta accadendo? È così che si possono apprendere le varie lezioni: cooperando con la vita, in modo da trarne conforto ed abbreviare la sofferenza. Anzi, succede spesso, che appresa bene la lezione, sparisca la causa della sofferenza.
Per accettare il dolore che le prove generalmente infliggono, ci sono solo due modi: un atto di fede in Dio o nella bontà della vita, che per essere efficace deve essere viva e attiva, o la conoscenza. Questa esiste nella comprensione delle leggi universali e in particolare, in questo caso, nella consapevolezza che l’uomo essendo giunto al massimo della separatività, dell’autolimitazione e dell’egocentrismo, deve gradatamente ritornare alla sorgente.
Quando l’uomo comincia a sentire questo bisogno, si potrebbe dire la “nota” di Dio, comincia una lotta aspra e dura, in quanto il richiamo viene a cozzare con le forze dell’egoismo e della separatività. Forze potenti entrano in gioco e impediscono alla ragione, imbrigliata dalle passioni e dai sentimenti, di guidarci lungo la giusta via. Ed è in questo stadio di sviluppo spirituale che si trovano molte persone oggi.
Detto così sembra facile, viverlo è una tragedia, un dramma in piena regola. Tutte le nostre “parti” entrano in gioco, mettiamo in scena praticamente tutto il “dramma umano” che la nostra immaginazione, meglio il nostro bagaglio di esperienza karmica, può contenere. Cosa può aiutarci ad uscire da questa situazione? Sapere che la sofferenza ha uno scopo preciso per l’evoluzione, ci aiuta ad accettare e a comprendere più facilmente la sua ragione di essere.
Le sue funzioni sono molteplici. In primo luogo, anche se non è la più importante, costituisce una espiazione legata alla legge di causa ed effetto. Essa poi ci tempra, sviluppando in noi quel meraviglioso potere che è la resistenza interiore, necessaria allo sviluppo spirituale.
Ci obbliga, inoltre, a distogliere l’attenzione dal mondo esterno, riportandola sulla nostra interiorità, a liberarci dagli attaccamenti, ad entrare in noi stessi, cercando conforto, luce, guida; in pratica ci rivela a noi stessi. Allora dove sta il segreto? Invertire, invertire la risposta: emanare una “nuova nota”.
Ma per emanare una “nuova nota” bisogna percepirla. Come fare? “Ascoltare”. Ma per ascoltare bisogna fare silenzio, bisogna fermarsi e per fermarsi bisogna restare immobili nella situazione in cui siamo. Accettare prove e persone che mettono in scena “esattamente” ciò che è “perfetto” per udire “quella nota”.
È come essere in CROCE: nessun movimento è permesso, bisogna andare a fondo, esplorare gli abissi del dolore, della disperazione, dell’impotenza.
Accettando di percepire dove tanta sofferenza ci trascina, sentendola anche nel corpo che si fa carico insieme a noi di tanto peso, possiamo diventare consapevoli che essa non ha fine. Il dolore non è solo nostro, appartiene all’umanità intera.
Questa è una rivelazione. Non siamo più soli in questo travaglio infinito. Ci rendiamo conto che anche gli altri, al di là dell’apparenza, sono nella stessa situazione: siamo tutti sulla stessa barca. La compassione per noi stessi prima e per l’umanità in seguito, comincia a risvegliarsi.
È il primo passo per comprendere che solo “l’amore” è la risposta adeguata: questa è la “nota” che vuole essere riconosciuta ed “emessa”, come risposta a tutte le situazioni che la vita ci offre generosamente per comprendere. Questo dolore potrebbe essere evitato se solo il nostro atteggiamento verso la vita potesse cambiare.
Ma c’è di più. L’aver appreso con l’esperienza che il dolore è una “vibrazione” che lega l’umanità intera e che l’amore è la risposta giusta, diventa una spinta preziosa ad aiutare gli altri, semplicemente emettendo attivamente quella nota “AMORE” come punto fermo in espansione inesorabile.
Secondo il bel verso di Virgilio “non ignara mali, miseris succurrere disco” (non ignara del male, apprendo a soccorrere gli infelici). Finalmente possiamo realizzare che non è il dolore infinito, ma infinito è l’amore che adesso può rispondere.
Articolo della Associazione Pax Cultura
Fonte: www.italiadonna.it/spiritualita/pax046.htm
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