Civiltà perduta: il Sanscrito, la lingua perfetta che assomiglia ad un “linguaggio macchina”…
di Enrico Baccarini
Negli ultimi venti anni sono state impiegate molte risorse, tempo e fondi nella progettazione di una rappresentazione chiara delle lingue naturali per renderle accessibili all’elaborazione attraverso i computer.
Il linguaggio naturale, ovvero quello parlato dagli esseri umani nella vita quotidiana, contrapposto ai linguaggi di programmazione informatica, presenta numerose ambiguità soprattutto di tipo semantico e si presta facilmente a fraintendimenti, nel caso in cui debba essere compreso da un computer.
Secondo molti studiosi il linguaggio naturale non sarebbe adatto a relazionarsi correttamente con la rigorosa e matematica logica di un computer. Tuttavia, esiste almeno un’eccezione: il Sanscrito.
Il Sanscrito e l’intelligenza artificiale
Attualmente il sanscrito è una “lingua morta”, non viene cioè parlata da nessun popolo, ma è usata soltanto dagli induisti nella celebrazione delle loro cerimonie religiose o nella lettura di testi sacri.
Ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, è stato scoprire che il Sanscrito sembra essere un vero e proprio linguaggio per computer. Già nel luglio del 1987, la rivista “Forbes” ospitava un articolo intitolato “Il sanscrito è la lingua ideale per la programmazione di software per computer”, ma già due anni prima un ricercatore della NASA era giunto a conclusioni ancor più sorprendenti.
Nel 1985, Rick Briggs studioso di Intelligenza Artificiale, del Roacs NASA Ames Research Center di Moffet Field, in California, pubblicò un articolo scientifico intitolato “Sanskrit and Artificial Intelligence – NASA Knowledge Representation in Sanskrit and Artificial Intelligence”[1].
Nel suo abstract, Briggs affermava: “Nell’antica India l’intenzione di individuare la Verità divenne così consumante che, in questo processo, scoprirono forse lo strumento più perfetto per soddisfare tale ricerca che il mondo abbia mai conosciuto, la lingua sanscrita… Oltre a opere di valore letterario, esisteva una lunga tradizione filosofica e grammaticale che ha continuato a esistere con immutato vigore fino al secolo attuale. Tra le realizzazioni di questi grammatici, si può ritenere che abbiano scoperto una lingua, il Sanscrito, che è identica non solo nella sostanza ma anche nella sua forma, con il lavoro corrente sull’intelligenza artificiale. Questo articolo dimostra che un linguaggio naturale può anche servire come lingua artificiale e molti studi sull’intelligenza artificiale, non sono altro che un inconsapevole riappropriarsi di studi molto più antichi“.
Briggs analizzò le reti semantiche, nei primi anni ’80 di recente invenzione, e trovò una loro impressionante somiglianza con la lingua sanscrita.
A partire dal 500 a.C. diversi grammatici indiani, ed in particolar modo il riformatore Panini, realizzarono una stretta codificazione della lingua dal più antico sanscrito vedico, affinché divenisse un utile strumento per trasmettere concetti logici con estrema precisione.
Da tale riforma, nel tempo, si venne a creare un sanscrito molto più conciso e “condensato”, rigoroso, simile ad un moderno linguaggio di programmazione informatico. Il sanscrito riformato mantenne quelle peculiarità che sarebbero state introdotte e rinnovate solo nel VI secolo a.C.
L’idioma perfetto che può dialogare con i computer
La scoperta di un collegamento tra il sanscrito e l’Intelligenza Artificiale è di importanza monumentale. Una lingua antica almeno 6.000 anni, sembra essere a tutti gli effetti un idioma così perfetto da consentire di interfacciarsi con i moderni sistemi informatici.
Tale particolarità potrebbe sembrare del tutto casuale, ma nella realtà dei fatti si dimostra come la più alta rappresentazione di quel concetto di perfezione che costituì l’animus del pensiero indiano.
L’unicità che la lingua sanscrita possiede rispetto a tutte le altre conosciute, sembra esprimersi anche nell’etimologia stessa della parola, ‘sams-kr-ta’, che significa ‘perfezione’.
È del tutto naturale chiedersi chi abbia “creato” questa lingua e quali livelli di perfezione abbiano raggiunto i suoi ideatori, per poterla rendere così unica e compiuta, peculiare e incomparabile rispetto a qualsiasi altra.
A tale riguardo, è necessario un inciso storico, emerso da studi archeologici recenti. Il “Daily Mirror” del 9 luglio 2012, pubblicava una notizia sconcertante. Da studi condotti risulta che il “Kannada”, un dialetto parlato nell’India del Sud, è la più antica lingua al mondo e risalirebbe ad almeno 10.000 anni fa, ricollegandosi inesorabilmente con la leggenda delle tre “Sangam” e del continente sommerso di” Kumari Kandam”, menzionato nel primo capitolo del mio libro: “I Vimana e le Guerre degli Dei: La riscoperta di una civiltà perduta“.
Davanti a queste nuove evidenze, osserviamo come un nuovo elemento sembri aggiungersi e si imponga, in quel lungo elenco di anomalie e particolarità che contraddistinguono l’India e la sua antica civiltà.
Articolo di Enrico Baccarini – giornalista, pubblicista e scrittore, ha compiuto studi di indirizzo psicologico e antropologico.
Riferimenti:
[1]Rick Briggs, Sanskrit and Artificial Intelligence — NASA Knowledge Representation in Sanskrit and Artificial Intelligence, AI Magazine, Vol. 6, n.1, Primavera 1985.
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