Fisica quantistica, Cervello e Coscienza
di Paolo Di Sia
Il rapporto tra la fisica quantistica e le funzioni cerebrali superiori, inclusa la coscienza, è una tematica oggetto di profonde discussioni negli ultimi anni, ma ancora molta strada deve essere fatta nella sua completa comprensione, se mai lo sarà.
Abbiamo da una parte i fisici che cercano di spiegare il problema mente-cervello in termini di fisica moderna, dall’altra i neuroscienziati cognitivi e i neurobiologi, molti dei quali considerano il mondo quantistico non rilevante per la soluzione dei loro problemi.
Ma, considerata l’enorme potenza di calcolo dei neuroni del nostro cervello, può la coscienza essere spiegata in un quadro puramente neurobiologico, o c’è invece spazio per il calcolo quantistico nel cervello?
Gli organismi biologici sono composti di atomi e molecole, pertanto obbediscono alle leggi della fisica, sia classica che quantistica (con il mondo nanometrico in mezzo). Contrariamente alla fisica classica, la fisica quantistica è fondamentalmente indeterministica ma, nonostante siano ancora molti i suoi problemi aperti da un punto di vista concettuale e interpretativo, essa spiega tutta una serie di fenomeni che non possono essere compresi in un contesto classico. Tra le caratteristiche “bizzarre” del mondo quantistico, in particolare ricordiamo:
a) il “dualismo onda-particella”, ossia il fatto che la luce e le particelle si comportano sia come onde (aspetto ondulatorio) che come particelle (aspetto particellare), a seconda della configurazione sperimentale;
b) il “principio di indeterminazione di Heisenberg”, ossia l’impossibilità di determinare contemporaneamente in modo preciso (senza un margine di approssimazione, per quanto piccolo) sia la posizione che la velocità di un oggetto quantistico;
c) il fenomeno dell’“entanglement”, ossia il fatto che due o più oggetti possono essere altamente correlati anche se sono separati da grandissime distanze, e il comportamento di uno influenza “istantaneamente” il comportamento degli altri, violando le nostre idee sulla “località” e il fatto che la velocità della luce, attualmente conosciuta come la massima velocità, è comunque finita, non infinita (nel vuoto è pari a 299792,458 chilometri al secondo).
Nonostante i problemi sorti già a partire dalla sua nascita, in particolare in relazione al ruolo dell’osservatore cosciente nell’atto della misura, la teoria quantistica ha risolto ad oggi moltissimi interrogativi lasciati dalla fisica classica e aperto le porte a nuove ed interessanti applicazioni tecnologiche, impensabili prima del suo arrivo.
Essendo la fisica classica un’approssimazione di quella quantistica, tutto di fatto dovrebbe poter essere descritto attraverso quest’ultima; da molti però il cervello viene visto esclusivamente come strumento classico. Una delle domande cruciali riguarda la possibilità che tutti i componenti del sistema nervoso, un tessuto fortemente accoppiato al suo ambiente e “vivo” alla temperatura ordinaria, mostrino comportamenti quantistici macroscopici, come l’entanglement quantistico, che si collegano anche al problema della coscienza.
Cervello e computazione quantistica
Il cervello è una realtà estremamente complessa, forse la più complessa in assoluto conosciuta dall’uomo; i sistemi quantistici complessi sono notoriamente difficili da analizzare con rigore, se non considerando modelli altamente idealizzati o modelli limite. E’ ben noto che stime basate sullo stesso modello a una particella, applicate ai milioni e milioni di particelle interagenti, mostrano discrepanze di vari ordini di grandezza. Anche per questo motivo ci si rivolge alla teoria computazionale astratta per trovare i correlati neurali dei processi quantistici nel cervello.
Il calcolo quantistico è di difficile attuazione; cerca di sfruttare l’entanglement controllando che il sistema converga con grande probabilità sul risultato. Nella sua versione più semplice, un computer quantistico trasforma lo stato di molti qubit (l’analogo quantistico dei bit classici) conservando la probabilità, tramite una sequenza di porte logiche quantistiche esternamente controllabili, in uno stato finale con un risultato di natura probabilistica. Accoppiare il sistema al mondo esterno è necessario per la preparazione dello stato iniziale (l’ingresso), per il controllo della sua evoluzione, per la misura reale (l’uscita).
Tutte queste operazioni introducono però del “rumore” nella computazione, la cosiddetta “decoerenza”, sempre presente, anche se in parte può essere compensata attraverso particolari tecniche. I grandi inconvenienti della computazione quantistica sembrerebbero dipingere un quadro abbastanza infelice per la sua applicazione all’interno del cervello, considerando le dimensioni (ad esempio, i recettori pre- e post-sinaptici e altri componenti che sono alla base dell’eccitabilità neuronale sono “grandi”, al punto da poter essere trattati come oggetti classici) e la temperatura del cervello.
Non mancano tuttavia le proposte, tra le quali una delle più famose è il modello “ORCH-OR” della mente ideato da Roger Penrose e Stuart Hameroff. Una tra le principali questioni che dividono gli scienziati riguarda infatti la coscienza, intesa come semplice sottoprodotto dei processi di elaborazione dell’informazione (e quindi in linea di principio riproducibile anche su un computer), oppure derivante da peculiari caratteristiche del cervello. Secondo Penrose la coscienza sarebbe il prodotto di effetti di tipo quantistico, quindi di tipo probabilistico. La sua tesi è stata criticata da varie parti, sia a livello scientifico che filosofico, considerato che il cervello è da molti ritenuto inadatto al verificarsi degli effetti quantistici. Queste critiche sono state e devono essere riviste considerando recenti scoperte relative a vari meccanismi, come il senso dell’olfatto e la fotosintesi, che appaiono invece essere influenzati dalla meccanica quantistica.
Secondo il loro modello, la coscienza sarebbe basata su vibrazioni quantistiche nei microtubuli all’interno dei neuroni cerebrali; queste vibrazioni sono state effettivamente confermate da osservazioni nel cervello. Penrose e Hameroff osservano inoltre che le vibrazioni quantistiche dei microtubuli possono essere messe in relazione con determinati ritmi elettroencefalografici ad oggi non spiegati diversamente, a dimostrazione della loro influenza sui processi cerebrali.
Due operazioni biofisiche fondamentali sono alla base dell’elaborazione delle informazioni nel cervello: la trasmissione chimica attraverso la fessura sinaptica e la generazione di potenziali d’azione. Esse comprendono migliaia di ioni neurotrasmettitori e molecole, accoppiate in modo tale da estendersi per decine di micrometri. Secondo l’elaborazione neuronale convenzionale, entrambi i processi distruggono gli stati quantistici coerenti, implicando che i neuroni possano solo ricevere e inviare informazioni classiche, non quantistiche.
Sono disponibili attualmente per i neuroni molte operazioni matematiche computazionali, relative ai cambiamenti nei pesi sinaptici, all’attività presinaptica, ai dendriti; ciò non ha ancora portato ad una comprensione definitiva su come lavora e calcola il cervello, ma molti neuroscienziati ritengono che non ci sia bisogno dell’aspetto quantistico, che gli algoritmi quantistici (che sono molto più potenti degli algoritmi convenzionali basati sulla fisica classica) non siano implementati nel sistema nervoso.
Perché l’evoluzione si sarebbe rivolta alla computazione quantistica, così volubile e strana, se i classici calcoli di rete neurale sembrano del tutto sufficienti per affrontare i problemi incontrati dal sistema nervoso?
Il “problema” della Coscienza
Potrebbe una delle interpretazioni della meccanica quantistica spiegare la coscienza? Roger Penrose ha sostenuto che il cervello risulta in grado di valutare le funzioni non computabili e che questa capacità è legata alla coscienza; essa richiede una teoria che non è ancora stata scoperta, ma che sarebbe legata a ciò che lui ha studiato in questi anni. Il contenuto della coscienza è ricco e altamente differenziato; è associato all’attività di un numero molto elevato di neuroni sparsi in tutta il corteccia e non solo ad essi.
Rimane da risolvere il problema del mantenimento della coerenza quantistica nei millimetri e centimetri di separazione dei singoli neuroni, per permettere alle informazioni quantistiche di non essere “distrutte” e se la coscienza è strettamente necessaria al collasso della funzione d’onda. Sembrerebbe più probabile che la base materiale della coscienza possa essere compresa in un quadro puramente neurobiologico, senza invocare alcun aspetto quanto-meccanico.
Sono stati proposti vari “esperimenti mentali” a seguito del famoso esperimento del “gatto di Schrödinger“. Supponiamo che un osservatore stia guardando con un occhio un sistema quantistico in sovrapposizione, come la scatola di Schrödinger con il gatto vivo e morto, mentre l’altro occhio vede ad esempio un susseguirsi di figure. Sotto appropriate circostanze, il soggetto risulta cosciente soltanto delle figure in rapida evoluzione, mentre il gatto nella scatola gli rimane “invisibile”. Cosa succede al gatto? La predizione convenzionale sarebbe che non appena i fotoni del sistema quantistico “scatola di Schrödinger” incontrano un oggetto classico, come la retina dell’osservatore, la sovrapposizione quantistica viene persa e il gatto sarà o vivo o morto. Questo sembrerebbe vero indipendentemente dal fatto che l’osservatore abbia visto “coscientemente” (o meno) il gatto nella scatola. Se, tuttavia, la coscienza è veramente necessaria per risolvere il problema della misura, il destino dell’animale rimarrebbe indeciso fino al momento in cui il gatto nella scatola diventa “percettivamente dominante” per l’osservatore. Questo potrebbe, almeno in linea di principio, essere empiricamente verificato.
La dimostrazione empirica di bit quantistici “debolmente decoerenti e controllabili” nei neuroni collegati da sinapsi elettriche o chimiche, o la scoperta di un algoritmo quantistico efficiente per i calcoli eseguiti dal cervello, diventerebbero una delle maggiori prove a favore della fisica quantistica nel cervello, anzichè essere considerate pure speculazioni, come sembra essere ad oggi. Gli scettici insistono nel dire che, fino a quando non saranno stati fatti tali progressi, non c’è motivo di fare appello alla meccanica quantistica per spiegare le funzioni cerebrali superiori, tra cui la coscienza.
Potrebbe la Coscienza essere un nuovo stato della materia?
La coscienza è una realtà evanescente, non può essere vista o toccata, non è quantificabile. Già questo risulta un problema “di principio” per la scienza, che utilizza il principio fondamentale della “misurabilità” di ciò che studia e cerca di spiegare. Ma la coscienza esiste, dicono molti, ed è uno degli aspetti più fondamentali di ciò che ci rende umani. E proprio come la materia oscura e l’energia oscura sono ipotesi nate per superare grandi problemi di consistenza di modelli fisici attualmente utilizzati e funzionanti, alcuni ricercatori hanno anche proposto che la coscienza potrebbe essere considerata come un “nuovo stato di materia”.
L’ipotesi è stata presentata per la prima volta nel 2014 dal fisico teorico Max Tegmark del MIT; ha proposto che ci sia uno stato di materia nuovo, proprio come gli stati solido, liquido e aeriforme, in cui gli atomi sono disposti a elaborare informazione, dare origine alla soggettività e, in ultima analisi, alla coscienza.
Egli ha proposto il nome “perceptronium” per questo nuovo stato di materia. La tesi sostenuta parte dalle seguenti ipotesi: generazioni di fisici e chimici hanno studiato cosa succede quando un grande numero di atomi si riunisce, trovando che il loro comportamento collettivo dipende dal modo in cui sono disposti. La differenza chiave tra un solido, un liquido o un gas non si trova nel tipo di atomi considerati, ma nella loro disposizione. Secondo Tegmark, non ci sarebbero particolari zone fisiche di perceptronium nel cervello (che poi muovendosi attraverso le vene portano ad un senso di auto-consapevolezza), piuttosto la coscienza potrebbe essere interpretata come un modello matematico, il risultato di un determinato insieme di condizioni matematiche. Proprio come si instaurano le condizioni per cui diversi stati di materia (come vapore, acqua e ghiaccio) possono sorgere, possono anche sorgere varie forme di coscienza. Occorre capire ciò che serve per produrre questi diversi stati di coscienza in accordo a condizioni osservabili e misurabili.
Questa sua idea ha tratto ispirazione anche dal lavoro del neuroscienziato Giulio Tononi dell’Università del Wisconsin a Madison, che nel 2008 ha proposto la “teoria dell’informazione integrata” (IIT), indicando delle possibili strade da seguire per evidenziare le caratteristiche della coscienza:
a) un essere cosciente deve essere in grado di memorizzare, elaborare e richiamare grandi quantità di informazione;
b) queste informazioni devono essere integrate in un insieme unificato, in modo che sia impossibile dividerle in parti indipendenti.
Ciò significa che la coscienza deve essere considerata nel suo insieme e non può essere suddivisa in componenti separate. Un essere o un sistema cosciente devono pertanto non solo essere in grado di memorizzare ed elaborare le informazioni, ma devono farlo in un modo che forma un insieme completo e indivisibile.
Ma se un supercomputer potesse avere queste caratteristiche, possiamo dire che è dotato anch’esso di una coscienza? L’ipotesi di Tononi prevede che “dispositivi semplici come un termostato o un diodo fotoelettrico potrebbero avere barlumi di coscienza, un sé soggettivo”. Attraverso i suoi calcoli si deduce che questi “barlumi di coscienza” non necessariamente sono uguali ad un sistema cosciente vero e proprio, ma gli si avvicinano. Addirittura egli ha introdotto una quantità matematica che potrebbe essere utilizzata per misurare il “grado di coscienza” di un oggetto.
Tegmark ha successivamente proposto che vi siano due tipi di materia che potrebbero essere considerati in accordo con la teoria dell’informazione integrata di Tononi:
a) il “computronium”, che soddisfa i requisiti del primo aspetto, ossia di essere in grado di memorizzare, elaborare e richiamare grandi quantità di informazioni;
b) il “perceptronium”, che oltre a fare tutto quello che fa il computronium, realizza la modalità dell’”intero indivisibile” di Tononi.
Egli ha inoltre identificato cinque principi fondamentali che potrebbero essere utilizzati per distinguere la materia cosciente da altri tipi di materia, come solidi, liquidi e gas: “l’informazione, l’integrazione, l’indipendenza, la dinamica, i principi di utilità”. Ha cercato di chiarire anche come il suo nuovo modo di pensare circa la coscienza potrebbe spiegare la prospettiva unica umana nell’universo.
Più di recente, alcuni scienziati hanno cercato di spiegare come la coscienza umana potrebbe essere trasferita in un corpo artificiale, e come operativamente farlo, mentre altri hanno suggerito che la coscienza si verifica in “strati di tempo” distanti tra loro centinaia di millisecondi.
Ancora non si conosce molto e bene cosa sia la coscienza in realtà, ma molti considerano probabile che sia qualcosa che dobbiamo considerare anche al di fuori del regno degli esseri umani. Se la coscienza è una caratteristica emergente di una rete altamente integrata, come suggerisce il modello di Tononi, probabilmente tutti i sistemi complessi (quindi non necessariamente solo esseri umani) potrebbero avere una forma minima di coscienza, allontanandosi così da qualsiasi forma di eccezionalità umana che afferma che la coscienza è esclusiva dell’uomo.
Coscienza ed Entropia
Il secondo principio della termodinamica risulta ad oggi uno dei principi essenziali dell’universo fisico; esso enuncia l’irreversibilità di molti eventi termodinamici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad uno freddo, ed è legato alla freccia del tempo. Sono state date nel corso degli anni formulazioni diverse di questo principio; senza entrare troppo nei dettagli tecnici, diciamo che tutto nella realtà quotidiana tende al disordine, all’irreversibilità, qualora venga fatto evolvere liberamente: se un bicchiere cade, si rompe e non succede il contrario, il caffè si mescola con il latte nella tazza e i due liquidi non ritornano spontaneamente ad essere separati, il sale si scioglie nell’acqua e non torna ad essere separato da quest’ultima in modo spontaneo, le stelle nascono, crescono e muoiono, l’universo stesso ha un’evoluzione che potrebbe portare ad una “morte termica”, solo per fare alcuni esempi.
Al concetto di disordine e alla sua possibile misura in un sistema fisico qualsiasi (incluso come caso limite l’universo) è stata associata la grandezza fisica “entropia”; i sistemi cambiano in modo naturale da una bassa ad un’alta entropia. Tutto quindi è in un costante stato di “decadenza”. In relazione alla coscienza, il cervello umano si è sviluppato nel corso del tempo per riconoscere le informazioni che ci circondano, le minacce e le opportunità e per aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza. Questo vantaggio evolutivo viene ottenuto ad un prezzo, un aumento dell’entropia.
Recentemente alcuni scienziati, studiando parti del cervello che possono formare un circuito che porta alla coscienza, ritengono che essa possa essere sorta in risposta all’entropia. Il nostro cervello, proprio come qualsiasi altro sistema, sta avanzando verso la fine e la coscienza potrebbe essere un sottoprodotto di questo processo, un effetto collaterale dell’entropia. Essi hanno applicato una specie di teoria della probabilità per esaminare modelli statistici di reti neurali; questo metodo è molto buono nel determinare le proprietà termodinamiche e l’entropia presenti nei sistemi.
All’esperimento hanno partecipato alcune persone, delle quali una parte sofferenti di disturbo epilettico. Sono stati confrontati due insiemi di dati: il primo riguardava i partecipanti mentre erano addormentati, il secondo quando erano svegli. Successivamente i ricercatori hanno utilizzato il modello con le persone mentre hanno subito una crisi epilettica, confrontandolo con i dati derivati durante un normale stato di veglia.
Hanno trovato un risultato sorprendentemente semplice, ossia che gli stati nel normale stato di veglia sono caratterizzati dal maggior numero di possibili configurazioni di interazioni tra le reti neurali, che rappresentano i valori più elevati di entropia; i cervelli dei partecipanti mostravano una maggiore entropia quando erano pienamente consapevoli.
La coscienza in questa visione non è dovuta alla connettività in sé, ma a quanti modi differenti il cervello può collegare certi fasci di neuroni ad altri. A causa della presenza di alta entropia, questi scienziati ritengono che per massimizzare lo scambio di informazioni tra i neuroni, la coscienza nasce come “proprietà emergente”, come risultato dell’entropia, contribuendo a migliorare la sopravvivenza, ma portando ad un tasso entropico più elevato.
Anche se innovativo, lo studio deve essere adeguatamente ripetuto ed ha alcuni inconvenienti; il più grande è il piccolo numero dei partecipanti all’esperimento. E’ necessario uno studio con numeri ben più grandi di persone, un “campione statistico” adeguato. Inoltre, sono da esaminare altri stati di consapevolezza, come ad esempio lo stato “metà addormentato”, “meditando”, “dopo aver preso un allucinogeno”, “sotto anestesia”, “ascoltando musica”, “essendo in un labirinto”, eccetera.
Corrispondono i diversi stati di coscienza a diversi livelli di entropia? E’ la coscienza un risultato del cervello che cerca di massimizzare il suo contenuto informativo? Attraverso gli esperimenti futuri si cercherà di dare risposte a domande come queste.
La ricerca presente e futura sarà quindi orientata ad individuare le caratteristiche dell’organizzazione del cervello che sono ottimali per l’elaborazione sensoriale e che possono guidare l’emergere di cognizione e coscienza, analizzando le registrazioni neurofisiologiche in stati coscienti e incoscienti, verificando se la coscienza è il risultato di un’ottimizzazione dell’elaborazione delle informazioni.
Conclusioni
I risultati di questi esperimenti possono aiutare a capire ciò che la coscienza è veramente, problematica che ha affascinato grandi pensatori per migliaia di anni, facendo luce su come funziona la coscienza e quali caratteristiche ha. Oltre ad esaminare le persone in diversi stati, questi gruppi di ricerca dovranno prendere misure precise in diverse regioni del cervello, per determinare lo stato termodinamico di ciascuna regione. In questo modo sarà possibile valutare quale tipo di entropia si sta verificando. Si tratta di teorie nuove ed estremamente interessanti, che possono essere destinate a cambiare il volto della fisica, della neurologia, della psicologia e di tanti altri campi.
Articolo di Paolo Di Sia
Elementi bibliografici
- Di Sia, P., Analytical Nano-Modelling for Neuroscience and Cognitive Science, Journal of Bioinformatics and Intelligent Control, Vol. 3, N. 4, pp. 268-272 (2014).
- Di Sia, P., Licata, I., Nano-Modelling and Computation in Bio and Brain Dynamics, Bioengineering, Vol. 3, N. 11 (7 pp.) (2016).
- Koch, C., The Quest for Consciousness: A Neurobiological Approach, Roberts, Colorado (2004).
- Nielsen, M., Chuang, I., Quantum Computation and Quantum Information, Cambridge Univ. Press, Cambridge (2002).
- Penrose, R., The Emperor’s New Mind, Oxford Univ. Press, Oxford (1989).
- Tegmark, M., Consciousness as a State of Matter, https://arxiv.org/abs/1401.1219 (2015).
- Tononi, G., Boly, M., Massimini, M., Koch, C., Integrated information theory: from consciousness to its physical substrate, Nature Reviews Neuroscience, N. 17, pp. 450-461 (2016).
Paolo Di Sia
Paolo Di Sia è attualmente professore aggiunto presso l’università degli studi di Padova e l’università degli studi di Bolzano. Ha conseguito una laurea (bachelor) in metafisica, una laurea (master) in fisica teorica, un dottorato di ricerca in fisica teorica applicata alle nano-bio-tecnologie e un dottorato di ricerca in matematica “honoris causa”. Si interessa del rapporto tra filosofia e scienza, di fisica alla scala di Planck, di nanofisica classica e quantistico-relativistica, di nano-neuroscienza, di fisica transdisciplinare e di divulgazione scientifica. È autore di 276 lavori distribuiti tra riviste nazionali e internazionali, capitoli di libri, libri, interventi accademici su web scientifici, pubblicazioni accademiche interne, lavori in stampa. È reviewer di vari international journals, membro di molte società scientifiche internazionali e international advisory/editorial boards, gli sono stati attribuiti vari riconoscimenti internazionali.
Paolo Di Sia
Università di Padova (Italy) & Libera Università di Bolzano (Italy)
E-mail: paolo.disia@libero.it
Webpage: www.paolodisia.com
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