Il mitico Regno perduto di Shambhala
di Giuseppe Di Re
Shambhala, che in sanscrito significa “luogo di pace” o “luogo del silenzio”, è una terra leggendaria descritta in molti testi antichi, tra cui il “Kalachakra Tantra” e le antiche scritture della cultura Zhang Zhung, che precedettero il buddhismo tibetano del Tibet occidentale.
Secondo la leggenda, Shambhala sarebbe un regno mistico e misterioso nascosto da fitte nebbie tra le montagne più elevate dell’Himalaya, a cui solo i puri di cuore possono accedere; un luogo eterno e protetto in cui predominano pace, quiete e felicità incontaminate, un paradiso sulla terra, in buona sostanza. Essa sarebbe circondata da montagne innevate e percorsa a nord dal fiume “Sita”.
Shambhala viene anche soprannominata “la terra dei mille nomi”, poiché nel corso della storia è stata chiamata in diversi modi da molti antichi popoli. Infatti, oltre che i tibetani anche russi, cinesi e indiani tramandano tradizioni simili riguardo all’esistenza di un’antichissima dimora che sarebbe abitata da uomini e donne perfetti, che vivono in costante sintonia con energie di un altro mondo.
Tra i soprannomi più noti di Shambhala, troviamo “la terra proibita”, “la Terra dalle acque bianche”, “la Terra degli spiriti radianti”, “Terra del Fuoco vivente”, “Terra degli Dei viventi” e “Terra delle Meraviglie”. Gli indù la chiamano “Āryāvarta” (una terra che sarebbe abitata dagli Ariani), i cinesi la conoscono come “Hsi Tien”, “il Paradiso Occidentale di Hsi Wang Mul”, e per gli antichi russi è nota come “Belovoyde”. In tutta l’Asia è meglio conosciuta con il suo nome derivato direttamente dai testi sanscriti, ovvero “Shambhala”, “Shamballa” o “Shangri-la”.
La leggenda di Shambhala è antichissima di migliaia di anni e i riferimenti che ne attestano l’esistenza possono essere trovati in vari testi antichi. Le “Scritture Bön”, ad esempio, descrivono un vasto territorio chiamato “Olmolungring”, che comprendeva diversi regni, tra cui proprio Shambhala. I testi indù come il “Vishnu Purana” menzionano Shambhala come il luogo di nascita di “Kalki”, l’incarnazione finale del dio “Vishnu”, che secondo antichissime profezie guiderà in futuro l’umanità verso una nuova età dell’oro.
Il mito buddhista di Shambhala è considerato un adattamento di un mito ancora più antico dell’induismo. Tuttavia, Shambhala viene più volte menzionata all’interno della raccolta di pratiche e insegnamenti buddhisti tibetani del “Kalachakra”. “Kalachakra”, che significa “ruota del tempo”, è un termine usato nel buddhismo “Vajrayana”. Viene generalmente utilizzato per indicare un insieme complesso di pratiche e di insegnamenti nel buddismo tibetano (detto anche buddismo vajrayana, o anche buddismo tantrico, Tantrayana o “Via del Diamante”, che delle tre categorie buddiste è quella più esoterica).
Si dice che fu Shakyamuni Buddha in persona ad insegnare il “Kalachakra” proprio su richiesta del re “Suchandra” di Shambhala. Come per altri concetti descritti nel Kalachakra, Shambhala potrebbe avere molti e differenti significati, che potremmo riassumere in “esterni”, “interni” ed “alternativi”.
Il significato “esterno” considera Shambhala come un luogo fisico, reale, tangibile, raggiungibile però soltanto da individui dotati dalle più alte virtù e in possesso di un karma puro. I significati “interiori” e “alternativi” invece rappresentano concetti molto più sottili e porrebbero il regno di Shambhala nei termini di una realtà eterea e spirituale. Queste due ultime accezioni sono considerate generalmente come simboliche ed esoteriche e sono trasmesse attraverso insegnamenti orali da maestro ad allievo.
Il terzo “Panchen Lama” Losang Jetsun Yeshe (1738-1780), scrisse una guida che indicava come raggiungere Shambhala intitolata “La via per Shambhala” (Shambhala i lam-yig). In questo particolare scritto, si legge che per recarsi in questa misteriosa terra con il proprio corpo fisico, si dovrebbe possedere un karma positivo e una mente sottile dotata di chiaroveggenza, sostenuta da una buona conoscenza del sentiero “tantrico”. Se così non fosse, allora chi cercherà di cimentarsi nell’impresa, dovrà temere i demoni e gli spiriti guardiani (yaksa e naga) ed altre creature terrificanti posti alla sua protezione, che potrebbero anche ucciderlo.
L’attuale Dalai Lama, a proposito dell’ubicazione di Shambhala, ha suggerito che, sebbene si trovi su questo pianeta e sia un luogo reale e fisico, esso può essere raggiunto direttamente solo da colui che è dotato di una mente e di un karma puri (i puri di cuore e di anima appunto). Ci sono anche riferimenti occidentali alla ricerca di Shambhala e uno di questi risale agli inizi del I secolo d.C., fornito da una testimonianza diretta del filosofo ellenico Apollonio di Tiana per via del viaggio che fece in India e riportato nella sua biografia “Vita di Apollonio di Tiana” dello storico greco Lucio Flavio Filostrato.
Apollonio descrive nei suoi resoconti di essersi trattenuto per diversi mesi in un paese ai confini dell’Himalaya, dove sarebbe venuto in contatto con “uomini estremamente saggi che hanno il dono della preconoscenza”. Egli rimase particolarmente colpito per i traguardi scientifici e mentali che avevano raggiunto i suoi abitanti, al punto che si limitò ad annuire stupito quando il loro re gli disse: “Chiedici quel che vuoi, poiché ti trovi tra persone che sanno tutto”.
La Profezia di Shambhala
Il concetto di Shambhala svolge un ruolo importante negli insegnamenti religiosi tibetani e ricopre una particolare rilevanza nella mitologia tibetana, per quanto riguarda il futuro dell’intera umanità. Secondo il “Kalachakra” attualmente a Shambhala sta regnando il ventunesimo Kulika (“re”). La profezia dice che durante il regno del venticinquesimo Kulika, il nostro mondo verrà travolto da un conflitto di proporzioni gigantesche, preceduto da grandi carestie, epidemie e disastri naturali di ogni tipo.
Durante quest’epoca l’umanità perderà quasi completamente il senso della spiritualità, essendo in vigore unicamente la legge del più forte e del materialismo spinto. Allora i “barbari” che seguiranno queste ideologie saranno uniti da un malvagio despota e, quando non ci sarà più niente da conquistare, le fitte nebbie si solleveranno e riveleranno le montagne innevate di Shambhala. I barbari allora attaccheranno il regno di Shambhala (l’unico luogo puro e intatto rimasto in un mondo avvolto dalle tenebre più oscure) con un esercito dotato di armi terrificanti.
Sarà allora che il regno di Shambhala sarà costretto a rivelarsi per salvare l’umanità. L’esercito guidato dal “Rudrachakrin” (l’imperatore universale, chiamato anche “il Re del mondo”) uscirà dai confini del magico regno, per affrontare in guerra il malvagio esercito. Il segno dell’avvenimento verrà dato da “grandi ruote di ferro che scenderanno dal cielo”: queste saranno le terrificanti armi di Shambhala.
I cruenti combattimenti avverranno nei pressi della Mecca, in Persia (Iran) e in Turchia. Verranno usati mezzi bellici molto potenti e sofisticati, e alla fine Shambhala avrà la vittoria. Sotto la guida del suo sovrano, che in profonda meditazione creerà un esercito irresistibile accompagnato dalle reincarnazioni di molti importanti maestri del mondo antico, gli avversari verranno sconfitti definitivamente. Si narra anche che tutti coloro che avranno ricevuto l’iniziazione attraverso gli insegnamenti del “Kalachakra” faranno parte dell’esercito di Shambhala e insieme, oltre che a salvare il mondo, lo trasformeranno in un nuovo paradiso, inaugurando così una nuova e duratura “Età dell’oro”.
Tuttavia, anche se il “Kalachakra” profetizza una guerra futura, ciò appare in contrasto con i voti e gli insegnamenti buddisti che proibiscono l’uso della violenza, portando, quindi, alcuni teologi ad interpretare la guerra solo “simbolicamente”. Il “Kalachakra”, infatti, non sosterebbe mai l’uso della violenza contro le persone, ma piuttosto si riferirebbe ad eventi che avvengono ciclicamente alla fine di ogni “Manvantara”, essendo “Kalki” la manifestazione terrena dell’ultimo “Avatara”.
Il luogo in cui si troverebbe Shambhala
Nel corso della storia, numerosi esploratori e ricercatori di saggezza spirituale hanno intrapreso spedizioni e missioni alla ricerca del paradiso perduto di Shambhala, e mentre molti hanno sostenuto di essere stati lì (come nel caso di Apollonio e di alcuni soldati dell’esercito Nazional Socialista Tedesco all’epoca di Hitler), nessuno ha però fornito prove della sua esistenza, o è stato in grado di individuarne la posizione fisica su una mappa.
Tuttavia, la maggior parte dei riferimenti collocano Shambhala nelle regioni montuose dell’Eurasia. I testi antichi “Zhang Zhung” identificano Shambhala con la “Valle del Sutlej” in “Punjab” o in “Himachal Pradesh”, una regione dell’India. I mongoli ne collocano la posizione in alcune valli della Siberia meridionale. Nel folklore di “Altai” si crede che il Monte “Belukha” nasconda una porta sotterranea che conduce proprio al regno di Shambhala.
I moderni praticanti buddhisti, sembrano convinti però che la vera ubicazione di Shambhala sia nelle alte sfere della catena dell’Himalaya, in quelle che oggi sono le montagne intorno al “Dhauladhar Mcleodganj”. Alcune leggende tramandano la notizia secondo cui l’ingresso a Shambhala sia nascosto all’interno di un remoto monastero abbandonato in Tibet, custodito da esseri leggendari conosciuti come i “Guardiani Shambhala”.
I Nazional Socialisti tedeschi alla ricerca di Shambhala
Anche i Nazional Socialisti hitleriani si dice che si interessarono con particolare veemenza alla ricerca del mitico regno di Shambhala, per una serie di motivi legati agli interessi personali di Hitler e alle ambizioni culturali del regime tedesco dell’epoca. Ciò portò il governo del Führer ad intrecciare intensi rapporti con il corrispettivo tibetano, al fine di ottenere aiuto nei propri progetti di espansione politico-culturale.
C’erano diversi elementi che ispiravano questa ricerca, due tra tutti: la ricerca della stirpe progenitrice dei tedeschi, la cosiddetta “razza ariana”, e la volontà di ritrovamento dei mitici regni sotterranei di “Shambhala” e “Agarthi”, nei quali sarebbero vissute, a loro dire, popolazioni scelte specializzate nel convogliare l’energia interiore (detta energia “Vril”).
I Nazional Socialisti collegavano l’esistenza del regno di Shambhala con quella, in un passato antico, del “Regno di Thule”, “Iperborea”, di cui aveva parlato lo storico greco antico Erodoto (V secolo a.C.), il quale aveva riportato in occidente una antichissima tradizione secondo la quale il continente di Iperborea sarebbe sorto nelle terre vicine al Polo Nord. A seguito di una forte glaciazione, poi, la sua popolazione si sarebbe spostata più a sud.
In epoca moderna, nel 1679, lo svedese Olaf Rudbeck identificò gli abitanti di Atlantide (di cui aveva parlato invece il filosofo greco Platone) con gli abitanti di Iperborea, e collocò la dimora di questi antichi abitanti al Polo Nord. Anche René Guénon, Julius Evola, i teosofi come la H. P. Blavatsky e Rudolf Steiner, e poi il pioniere della libertà indiana Lokmanya Bal Gangadhar Tilak e William Fairfield Warren – fondatore e primo presidente dell’universalità di Boston – scrissero molto riguardo all’esistenza di Iperborea, e sostenevano che il genere umano avesse avuto origine proprio nei circoli polari, che successivamente, in seguito ad un disastro, i popoli che vi vivevano abbandonarono, per dirigersi in altri luoghi.
Iperborea era la terra dove ebbe inizio “L’età dell’oro” della civiltà umana e della spiritualità, dove la primordiale umanità non sorse affatto dalla scimmia (come sostenuto nei miti creati a tavolino dagli illuministi nel lontano Settecento), ma al contrario ricadde progressivamente in quella condizione, quando si allontanò fisicamente e spiritualmente dalla propria terra d’origine.
Si dice che un altro elemento alla base della ricerca di Shambhala da parte dei tedeschi, era la convinzione che la Terra fosse cava all’interno. Alla fine del XVII secolo, l’astronomo britannico Sir Edmund Halley, aveva infatti suggerito, per la prima volta, che la Terra potesse essere vuota all’interno e formata da quattro sfere concentriche. Una conferma letteraria più recente a questa teoria, è venuta dal celebre scrittore francese Giulio Verne, che ha pubblicato il suo romanzo “Viaggio al centro della Terra” nel 1864.
A ciò, nelle motivazioni di ricerca che muovevano i gerarchi nazisti, si aggiunse la teoria dell’esistenza del “Vril”. Nel 1871 il romanziere britannico Edward Bulwer-Lytton, nel suo libro “La razza che verrà” descrisse una razza superiore, i “Vril-ya”, che vivrebbe sotto terra, aspirando a conquistare il mondo tramite il “vril”, una forma di energia psicocinetica. L’autore francese Louis Jacolliot aggiunse altri particolari nella sua opera “Le Fils de Dieu” (Il figlio di Dio) del 1873 e in “Les Traditions indo-européeenes” (Le tradizioni indo-europee) del 1876. Anche il noto hitlerista esoterico Miguel Serrano scrisse molto a tal proposito. In questi testi l’energia “Vril” veniva messa in relazione con l’esistenza di popoli che vivrebbero nel sottosuolo. I sopravvissuti all’ultima glaciazione, avrebbero avuto in progetto di convogliare la loro massa di energia “Vril” per diventare “superuomini” e palesarsi finalmente in superficie.
Infine il celebre filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), ha anch’egli enfatizzato il concetto di “Übermensch” (il “Superuomo”) iniziando la sua celebre opera “Der Antichrist” (L’anticristo, del 1888) con la frase: “Vediamoci per quello che siamo. Siamo Iperborei. Sappiamo fin troppo bene come stiamo vivendo lontani da questa rotta”. Dunque, secondo queste leggende, sembrerebbe che molti tedeschi ad inizio Novecento fossero convinti di essere i discendenti della stirpe Ariana, che si era poi spostata verso sud partendo dalla terra originaria di “Iperborea”, collocata al Polo Nord – o perlomeno da una terra circumpolare molto vicina all’Artide – e che era destinata a diventare la “razza ventura”, tramite l’utilizzo del “Vril” (un’energia interna agli esseri umani, parallela a quella presente al centro della Terra). Secondo Serrano, Hitler era a conoscenza di queste leggende e le fece proprie.
Purtroppo, ad oggi nessuno sembra essere riuscito ad individuare l’accesso fisico al mitico regno di Shambhala, né la sua esatta ubicazione sulla Terra, ma restano le indicazioni spirituali per poter parlare di esso come di un regno interiore, dunque immateriale e apparentemente intangibile, nel quale vivrebbero i saggi illuminati.
Non è difficile, inoltre, individuare nelle descrizioni di Shambhala come luogo spirituale, quello che Gesù chiamava il “regno dei cieli” o “regno di Dio”, che era al centro della sua predicazione, o quello che era stato annunciato dai profeti dell’Antico Testamento, o quello che viene descritto – a proposito della profezia sull’avvento futuro di Shambhala – nel libro dell’Apocalisse come “la Gerusalemme celeste” che “scenderà dal cielo”, come nuova città degli uomini alla fine dei tempi (da intendersi come fine dell’era dell’Acquario, astrologicamente ed esotericamente parlando, ovvero la fine del ciclico “Kali-Yuga”).
Che potesse essere anche una città simbolico-spirituale ne aveva parlato, ad esempio, Agostino di Ippona nel suo “La città di Dio”. Un autore che recentemente ha approfondito l’aspetto interiore del “regno di Dio”, descrivendolo come il luogo della “battaglia spirituale” per eccellenza, è stato Leone Tolstoj, nella sua opera “Il regno di Dio è in voi” (1893).
Tutto il cristianesimo prevede questa dialettica tra la “città celeste” e la città terrena, e ciò costituirebbe un elemento di convergenza tra le religioni cristiana, induista e tibetano-buddhista, in particolare, tra la visione storico-escatologica propria del cristianesimo e la tradizione maggiormente intimista, meditativa ed individualista, propria delle religioni orientali.
Articolo di Giuseppe Di Re
Fonte: https://immagineperduta.it/il-mitico-regno-perduto-di-shambhala/
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