La misteriosa guida invisibile di cani e gatti
di Francesco Lamendola
Come fanno certi animali, a ritrovare la strada di casa, anche a distanza di mesi o anni da quando le circostanze li hanno separati dai loro padroni?
Come fanno questi animali a percorrere decine, centinaia di chilometri, a volte perfino per mare, imbarcandosi di nascosto su navi o aerei, senza nemmeno una traccia olfattiva da seguire? L’istinto… si dice, e con ciò si pensa di aver spiegato tutto; senza avere la lealtà di ammettere che parlare di “istinto”, in casi del genere, vuol dire appellarsi alla classica “formuletta magica”, che serve solo a coprire la nostra totale ignoranza e a darci la rassicurante sensazione di aver risposto, bene o male, alla domanda.
“Myrna Carillo” è una donna americana che viveva in California e aveva un cane cui era molto affezionata, chiamato Prince. Un giorno perse il cane, dopodiché si trasferì in un’altra città, e da lì, in un’altra ancora. In totale fece quattro traslochi nel giro di qualche anno. Nel frattempo si era sposata e aveva avuto due figli; senza tuttavia aver mai dimenticato il suo amico a quattro zampe, della cui scomparsa si era sempre crucciata e rammaricata.
Ma ecco che, come in un film di Lassie – anzi molto più incredibilmente, perché sono trascorsi ben cinque anni – Prince si presenta alla porta di casa: alla porta della “nuova” casa della sua “vecchia” padrona; la quarta casa dopo quella nella quale Myrna e Prince avevano vissuto in California. La donna lo riconosce subito. Nonostante la lunghissima separazione i due si sono finalmente ritrovati.
La fonte della notizia è Nbc News e anche se frotte di zelanti “negatori del mistero” si affretteranno a metterla in dubbio, per esempio sostenendo che il cane “redivivo” non era il vero Prince, ma soltanto uno che gli assomigliava, la realtà è che esiste una ricca casistica di questo genere, di animali domestici, cani e gatti soprattutto, che ritrovano la strada di casa, talvolta in circostanze così straordinarie da superare la fantasia di certe belle favole a lieto fine.
Un altro esempio eclatante è quello di un gatto di nome Micky, che aveva sempre vissuto in campagna nello Staffordshire, in Inghilterra, insieme ai suoi padroni, i quali ad un certo punto dovettero trasferirsi a Londra per motivi di lavoro. Dato che Micky era un gatto di campagna si ritenne fosse meglio non sradicarlo, portandolo in città. Di conseguenza venne affidato alle cure di alcuni parenti. Lui però la pensava diversamente. Per un po’ fu triste, poi scomparve misteriosamente e sei settimane dopo, esausto, magro e inzaccherato, fece la sua comparsa nella nuova casa londinese dei suoi padroni, una casa che non aveva mai visto prima.
Ora, dato che i padroni del gatto erano partiti in macchina, era impossibile che avessero lasciato una qualche traccia odorosa. E allora, che cosa mai aveva guidato Micky, in un percorso lungo più di cento miglia, in un territorio sconosciuto, consentendogli di scovare la nuova casa dei suoi padroni, tra milioni di altre?»
Già le migrazioni degli animali sono un grande mistero; e non parliamo tanto dei mammiferi, quanto dei pesci, come ad esempio le anguille, che percorrono l’Atlantico, risalendo poi i fiumi europei per loro del tutto sconosciuti; o ancora, degli uccelli oceanici, come gli albatri, che volano talvolta da un Polo all’altro senza mai perdere la direzione, di notte, con la nebbia, con il cielo coperto, dunque anche senza potersi orientare con il sole o con le stelle, e certamente anche mentre dormono, dal momento che non fanno soste e non scendono a terra per migliaia e migliaia di chilometri.
Tutto ciò è un grande mistero, per il quale, tuttavia, esistono delle possibili spiegazioni naturali, a cominciare dal magnetismo terrestre, che, se non altro, permettono di ipotizzare delle ragionevoli risposte. Ma quando si tratta di singoli animali, non migratori, ma domestici, per giunta decisamente sedentari, come gatti o cani che non si sono mai allontanati da casa, e che mai hanno visto prima i luoghi che dovranno raggiungere per fare ritorno a casa, talvolta percorrendo grandissime distanze: come si può parlare di istinto? di comportamento innato, ereditato dalla specie, essendo evidente che le situazioni di cui si parla presentano caratteri di assoluta novità e imprevedibilità?
In una prospettiva materialista e riduzionista, l’unica spiegazione ammissibile deve essere basata su una traccia sensibile, seguita tramite sensi esterni (olfatto) o interni (correnti elettromagnetiche). Il limite di questa impostazione è che essa stabilisce in anticipo cosa sia possibile e cosa no. Se, viceversa, si allarga l’orizzonte ad una prospettiva olistica e spirituale, che include il dato materiale ma non si ferma esclusivamente ad esso, assolutizzandolo, bensì lo interpreta come un primo livello di realtà e, quindi di conoscenza, allora nuove ed emozionanti ipotesi si dischiudono per il ricercatore che si ponga davanti ai fatti, con mente libera da ogni genere di pregiudizio.
I fatti sono che un animale domestico non dovrebbe essere in grado di ritrovare la strada di casa, quando si trovi a centinaia di chilometri da essa; quando non abbia mai percorso quella strada in precedenza; quando si tratti, addirittura, di trovare una casa nuova e a lui del tutto sconosciuta, ossia quella dove i suoi padroni si sono trasferiti. In casi come questi, l’animale non può aver seguito una traccia olfattiva; non può aver seguito un percorso atavico della sua specie, non trattandosi di un animale migratore, ma al contrario, di un animale sedentario e profondamente “umanizzato”, che ha trascorso tutta la sua esistenza a contatto con gli esseri umani, più che con i propri simili.
Il primo pregiudizio del quale occorre sbarazzarsi, a nostro avviso, è quello di pensare che l’uomo e l’animale siano due entità completamente differenti e non paragonabili, per cui quello che è valido per l’uno (l’uomo), dotato di facoltà psichiche superiori, non può esserlo anche per l’altro (l’animale). Si osserva inoltre che presso talune popolazioni native, come i Boscimani del Kalahari o gli Aborigeni australiani, sono attive notevoli facoltà telepatiche, al punto che spesso questi indigeni sembrano in grado di localizzare della selvaggina in luoghi molto distanti o di avvertire l’avvenuta morte di un parente, che si trova magari a centinaia di chilometri di distanza; fatti che sono stati segnalati più volte da missionari e viaggiatori e che ogni volta, hanno suscitato la più grande meraviglia per l’impossibilità di formulare alcuna plausibile spiegazione razionale.
Ebbene, questa analogia permette di ipotizzare che gli animali, quando fanno ritorno a casa da luoghi molto lontani, in realtà non seguano una strada, bensì un pensiero e più precisamente quello dei loro amici umani, dei quali sentono fortemente la nostalgia e cui vorrebbero, con tutte le loro forze riunirsi. Se questa ipotesi può avere un fondamento, allora essa ci rimanda inevitabilmente al concetto di “Akasha” (termine per molti sicuramente sconosciuto), ossia quel grande “deposito/archivio universale”, ove tutto è registrato: esistenze, eventi, pensieri e ricordi, in cui è presente ogni istante di ogni singolo essere vivente, ogni esperienza, ogni sensazione, passata, presente e futura. La cronaca dell’Akasha sta sul confine del mondo fisico e conserva l’essenza di ogni cosa concepita nel mondo da esseri coscienti, sotto forma di immagini.
Secondo “Rudolf Steiner”, chiunque sia “iniziato” a leggere questa scrittura vivente, può sviluppare la capacità di vedere e conoscere le cose, molto tempo dopo che sono accadute o molto prima che accadano. Secondo “Julius Evola”, l’Akasha è una sorta di etere vitale, che tende a confondersi con l’idea stessa di spazio, ma uno spazio vivo, saturo di ogni genere di qualità e intensità. In quest’ultima ipotesi, l‘Akasha non è soltanto un archivio universale dell’esistente, ma un mondo parallelo a sé stante, in cui tutto ciò che è possibile e pensabile trova esistenza, e che rappresenterebbe una realtà autonoma, e non solo una immagine dei pensieri di esseri dotati di sensibilità, intelligenza e memoria.
È quasi inutile evidenziare che tanto la concezione di Steiner, quanto quella di Evola si avvicinano molto al concetto di Mente universale, di origine antichissima e precisamente orfico-pitagorica, di cui vi è un’eco anche nel sesto libro dell’Eneide di Virgilio; concetto che si integra con la credenza nella metempsicosi, o rinascita delle singole anime individuali, in un periodo temporale molto ampio, il cui fine ultimo è la liberazione definitiva dal mondo materiale, mediante lo sviluppo di una superiore consapevolezza spirituale.
Se dunque le singole menti degli esseri viventi, non sono che una parte della Mente cosmica, cui appartengono e in cui si muovono, senza saperlo, come i pesci nell’acqua del mare, ecco allora che si può intravedere una possibile spiegazione per il mistero del ritorno a casa degli animali domestici, talvolta attraverso strade sconosciute e coprendo distanze immense. e ciò con lo stesso grado di chiarezza e di evidenza con cui uno studioso, leggendo le pagine di un libro, trova il soggetto che stava cercando.
Si noti, inoltre, che anche fra gli umani è presente una facoltà di questo genere, oltre che presso i popoli prima citati, che vivono a stretto contatto con la natura, anche in alcuni bambini che hanno la particolare capacità di accedere ad una dimensione “ulteriore”, tramite la quale vengono a conoscenza di informazioni che in nessun’altra maniera avrebbero potuto apprendere. Sono casi relativamente rari, ma ben documentati.
Ecco, dunque, qualcosa su cui riflettere; qualcosa che, partendo dai misteriosi ritorni degli animali, getta un fascio di luce sul grande arcano della Mente cosmica e sulle sue numerose implicazioni filosofiche. Ce n’è quanto basta per rivedere molti luoghi comuni e molte “pretese certezze” acquisite dalla scienza materialista e riduzionista, che oggi va tanto per la maggiore. Come se non fossero possibili altre idee della scienza, altri modelli scientifici, capaci di tenere nel debito conto la realtà dell’ordine soprannaturale, non riducendosi quindi ad una cieca assolutizzazione di ciò che è visibile, quantificabile e sperimentabile in laboratorio.
Articolo di Francesco Lamendola
Fonti: edicolaweb.net
http://www.stampalibera.com/?p=27889
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