La Giostra
di Lorenzo Merlo
Perché ripetiamo la storia? Perché nonostante si spendano a piene mani moniti che essa ci sia maestra, regolarmente si ripete?
Perché si crede che il ricordo possa evitare il suo ritorno identico, soltanto formalmente aggiornato secondo il costume del momento? Perché non basta osservarne il carosello per eludere il suo ricorrere?
L’idea che la storia insegni ha un sapore razionalista e meccanicista e, dietro le quinte, una concezione dell’indipendenza dell’intelletto dal Tutto e dell’individuo dai propri sentimenti e dalle proprie emozioni.
Ne consegue una miopia, quando non una cecità, che permette o impone una realtà non solo a propria misura morale, cognitiva, educativa, politica, eccetera, ma anche temporale, che altro non significa se non soggetta al sentimento e alle emozioni presenti in noi nel momento del giudizio.
Prendendo a fondamento l’inconsapevole idea autopoietica che l’intelletto sia l’esclusivo campo della conoscenza, ci si trova facilmente a tessere quest’ultima come una sorta di nastro sempre più lungo, detto progresso…






























