Verso un Internet quantistico
di Paolo Di Sia
La fisica quantistica possiede caratteristiche tali da poter rendere le comunicazioni molto più sicure di quanto sia nel caso classico; sfruttare alcune delle sue proprietà più strane potrebbe portare la rete delle reti, Internet, ad un deciso miglioramento rispetto al presente. La meccanica quantistica ha infatti il potenziale per ottenere comunicazioni non hackerabili.
La capacità delle particelle quantistiche di poter trovarsi in stati non definiti, come il noto “gatto di Schrödinger”, che risulta sia vivo che morto contemporaneamente, è stata utilizzata per vari anni per migliorare la crittografia dei dati. La crittografia è la branca della crittologia che si occupa dei metodi per rendere un messaggio “non leggibile”, in modo da non essere comprensibile alle persone che non sono autorizzate a leggerlo.
Le ricerche ultime stanno portando a credere che l’utilizzo della meccanica quantistica ci farà arrivare molto più lontano, sfruttando la misteriosa capacità della natura di “entanglare” oggetti lontani (entanglement) e “teletrasportare” informazioni (teletrasporto). Un Internet quantistico in grado di sfruttare queste capacità potrebbe aprire un intero universo di applicazioni non possibili con la comunicazione classica, includendo ad esempio il collegamento di computer quantistici tra loro nel mondo, la costruzione di nuovi telescopi ultraprecisi che utilizzano osservatori largamente separati nel mondo, stabilire nuovi modi di rilevare le onde gravitazionali. In futuro, quindi, la maggior parte (se non tutte) delle comunicazioni potrebbero diventare quantistiche.
Un gruppo di ricercatori di Delft, nei Paesi Bassi, ha iniziato a costruire la prima vera rete quantistica, che collegherà quattro città. Il progetto, che dovrebbe concludersi nel 2020, potrebbe essere considerato la versione quantistica di ARPANET (acronimo di “Advanced Research Projects Agency NETwork”), rete di comunicazione studiata e realizzata nel 1969 dal DARPA (agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti responsabile dello sviluppo di nuove tecnologie ad uso militare) e considerata l’embrione da cui nel 1983 nacque Internet. Vi è anche un progetto europeo più ampio, chiamato “Quantum Internet Alliance”, che mira ad espandere l’esperimento olandese in scala continentale.
Molti dettagli tecnici devono ancora essere risolti e c’è cautela tra i ricercatori nel dire esattamente quanto il nuovo Internet quantistico potrebbe offrire. Comunque, pensando alla sicurezza, si spera di evitare le vulnerabilità ereditate da Internet ARPANET.
1. Chiavi quantistiche
Le prime proposte relative alle modalità di comunicazione quantistica risalgono al 1970. Stephen Wiesner, allora giovane fisico alla Columbia University di New York, intravide il potenziale della meccanica quantistica in relazione alla teoria dell’informazione in uno dei suoi principi più basilari, ossia che “è impossibile misurare una proprietà di un sistema senza modificarlo”. Wiesner suggerì che le informazioni potevano essere codificate attraverso gli stati di oggetti microscopici come gli atomi isolati, i cui “spin” (che possono puntare verso l’alto o verso il basso) potevano essere l’analogo degli stati 0 e 1 dei bit classici. In più vi era la straordinaria possibilità che quantisticamente ci potesse essere una sovrapposizione, ossia che potessero essere in entrambi gli stati contemporaneamente.
Tali unità di informazione quantistica sono oggi comunemente chiamate “bit quantistici” o “qubit”. Wiesner sottolineò inoltre che, poiché le proprietà di un qubit non possono essere misurate senza cambiare il suo stato, diventa anche impossibile farne copie esatte o “cloni”. Questo divieto divenne in seguito noto come “quantum no-cloning”, e si rivela essere un grande vantaggio per la sicurezza, perché un hacker non può estrarre informazioni quantistiche senza lasciare traccia.
Ispirato da Wiesner, nel 1984 Charles Bennett, informatico dell’IBM a Yorktown Heights, New York, e il suo collaboratore Gilles Brassard dell’università di Montreal in Canada, escogitarono un ingegnoso schema con cui due utenti potevano generare una chiave di crittografia indistruttibile che solo loro sapevano. Ciò è collegato al fatto che la luce può essere polarizzata, in modo che le onde elettromagnetiche oscillino in un piano orizzontale o verticale. Un utente converte una sequenza casuale di 0 e 1 in una chiave quantistica codificata in questi due stati di polarizzazione e la invia in streaming ad un’altra persona. In una sequenza di passaggi, il destinatario misura la chiave e stabilisce che la trasmissione non è stata disturbata dalle misure di un intercettatore. Le due parti possono allora scambiarsi qualsiasi messaggio composto da bit classici e inviarlo come altro messaggio crittografato su Internet convenzionale.
Nel 1989 Bennett ha guidato la squadra che per prima ha verificato sperimentalmente l’utilizzo di questo fenomeno, chiamato “quantum key distribution” (QKD). Oggi i dispositivi QKD che utilizzano schemi simili sono disponibili in commercio e tipicamente venduti a società finanziarie o organizzazioni governative.
L’anno scorso il satellite cinese “Micius”, nato da un’idea del fisico quantistico Jian-Wei Pan della University of Science and Technology a Hefei (Cina), ha utilizzato una variante del protocollo di Bennett e Brassard creando due chiavi, e mandandone poi una in una stazione di terra a Pechino e l’altra a Vienna. Un computer di bordo ha combinato le due chiavi segrete per crearne una nuova, che trasmetteva a terra in modo classico. In uno degli esperimenti effettuati, il satellite ha inviato coppie entanglate di fotoni a due stazioni di terra in Cina su una distanza record di oltre 1.200 chilometri.
I satelliti come Micius potrebbero aiutare ad affrontare una delle principali sfide nel rendere sicure le comunicazioni quantistiche di oggi, ossia il problema della “distanza”. I fotoni necessari per creare una chiave di crittografia possono infatti essere assorbiti dall’atmosfera o, nel caso di reti terrestri, essere in una fibra ottica, che rende la trasmissione quantistica impraticabile dopo alcune decine di chilometri.
La creazione di collegamenti QKD a lunga distanza richiede la costruzione di “nodi fidati” che fungano da intermediari e non permettano ad un hacker di entrarci. I nodi fidati sono già un passo avanti per alcune applicazioni, perché riducono il numero di punti in cui una rete è vulnerabile agli attacchi.
2. Connessioni quantistiche
Le reti che coinvolgono nodi fidati sono solo in parte quantistiche. La fisica quantistica svolge un ruolo solo nel modo in cui i nodi creano la chiave criptata; la successiva crittografia e trasmissione di informazioni è interamente classica. Una vera rete quantistica potrebbe sfruttare entanglement e teletrasporto per trasmettere informazioni quantistiche su grandi distanze, senza la necessità di nodi fidati; ciò consentirebbe ai computer quantistici di comunicare tra loro in tutto il mondo. Tuttavia, poichè nelle future previsioni un computer quantistico non avrà più di 200-300 qubit, questo approccio “misto” è sicuramente importante (un esperimento del 2015 ha coinvolto 245 qubit).
Su una scala più ampia i ricercatori immaginano una “nuvola” di calcolo quantistico (quantum-computing cloud), con macchine altamente sofisticate accessibili attraverso un Internet quantistico. Tale quantum-computing cloud sarebbe anche molto sicuro; varie applicazioni Internet, come aste, elezioni, trattative contrattuali, trading veloce potrebbero sfruttare i fenomeni quantistici per essere più veloci e più sicure delle loro controparti classiche.
Ma il più grande impatto di un Internet quantistico potrebbe essere sulla scienza stessa. La sincronizzazione degli orologi usando l’entanglement potrebbe migliorare la precisione di reti di navigazione simili a sistemi di posizionamento globale dai metri ai millimetri. Sempre attraverso l’entanglement si potrebbero collegare orologi atomici distanti con una precisione notevolmente migliorata, che potrebbe portare a nuovi modi di rilevare le onde gravitazionali. In astronomia, le reti quantistiche potrebbero collegare telescopi ottici distanti migliaia di chilometri, aumentando la loro risoluzione. Questo processo, chiamato “very long baseline interferometry”, è applicato di routine alla radioastronomia, ma operando in frequenze ottiche richiede precisione di temporizzazione al momento irraggiungibile.
3. Teletrasporto, sicurezza e informazione quantistica
Negli ultimi dieci anni vari esperimenti hanno dimostrato alcuni dei fondamenti necessari per costruire una rete veramente quantistica, come il processo di teletrasporto di informazioni codificate in qubit da un luogo ad un altro nello spazio.
La bellezza del teletrasporto quantistico è che l’informazione quantistica non viaggia tecnicamente lungo la rete. I fotoni che viaggiano sono solo usati per stabilire un collegamento tra due utenti in modo che le informazioni quantistiche possano essere trasferite. Se una coppia di fotoni entanglati non riesce a stabilire una connessione, un’altra coppia lo farà. Ciò significa che l’informazione quantistica non è persa se lo sono i fotoni. Un Internet quantistico sarebbe in grado di produrre entanglement su richiesta tra qualsiasi coppia di utenti. Ma collegare utenti lontani richiede una tecnologia che possa estendere la portata dell’entanglement.
Sono stati effettuati esperimenti con fotoni emessi da due qubit, che hanno viaggiato verso una stazione intermedia, dove hanno interagito stabilendo l’entanglement, mostrando che si può davvero stabilire un entanglement forte e affidabile tra due elaboratori di informazioni quantistiche distanti. I ricercatori stanno studiando altri modi per costruire e manipolare qubit, compreso l’uso di ioni individuali sospesi nel vuoto, sistemi che accoppiano atomi, fotoni che rimbalzano tra due specchi all’interno di una cavità. Questi qubit potrebbero essere utilizzati per costruire sia i ripetitori quantistici che i computer quantistici; fortunatamente i requisiti per un ripetitore sono generalmente meno impegnativi di quelli per un computer quantistico. La prospettiva di creare un Internet quantistico sta perciò diventando anche un problema di ingegneria dei sistemi.
La tecnica di far interagire i fotoni con un raggio laser consentirebbe il collegamento di qubit su distanze di decine di chilometri su fibra. Il gruppo di Hanson sta costruendo un collegamento tra Delft e L’Aia di circa 10 chilometri di distanza. Entro il 2020 i ricercatori sperano di aver collegato quattro città olandesi, con una stazione in ognuna di esse che funge da ripetitore quantistico. In caso di successo, il progetto sarebbe il primo al mondo come vera rete di teletrasporto quantistico.
La rete potrebbe essere un banco di prova per i ricercatori che sperano di risolvere alcuni difetti di Internet, non ultima la “relativa facilità” con cui gli utenti possono forgiare o rubare identità. Sono state proposte tecniche quantistiche che consentirebbero agli utenti di provare la propria identità certificando che possiedono un codice segreto corretto (una serie di bit classici) senza mai trasmetterlo “classicamente”; le informazioni verrebbero inviate in una “scatola nera” che potrebbe verificare senza sapere.
4. Conclusioni
Alcuni ricercatori mettono in guardia sul possibile costante aumento della portata potenziale della tecnologia. Internet del prossimo domani forse non sarà mai interamente quantistico, così come i computer non diventeranno tutti quantistici. Potrebbe anche essere che molte delle cose che le persone sperano di raggiungere con le reti quantistiche, vengano fatte con le tecnologie più convenzionali. A volte si trovano ottime idee che risultano essere realizzabili senza considerare gli effetti quantistici.
Solo il tempo dirà se la promessa di un vero Internet quantistico si materializzerà. Per quanto ne sappiamo ad oggi, il teletrasporto è tuttavia un fenomeno che, anche se fisicamente possibile, non si verifica in natura. Quindi è davvero un’affascinante nuova realtà.
Elementi bibliografici
1. D. Bouwmeester et al., Experimental quantum teleportation, Nature 390, 575-579 (1997).
2. C. H. Bennett, G. Brassard, Experimental quantum cryptography: the dawn of a new era for quantum cryptography: the experimental prototype is working, ACM SIGACT News, 20(4), 78-80 (1989).
3. S.-K. Liao et al., Satellite-Relayed Intercontinental Quantum Network, Physical Review Letters 120, 030501 (2018).
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5. L. M. Duan et al., Long-distance quantum communication with atomic ensembles and linear optics, Nature 414, 413-418 (2001).
6. B. Hensen et al., Loophole-free Bell inequality violation using electron spins separated by 1.3 kilometres, Nature 526, 682-686 (2015).
7. A. Dréau et al., Quantum frequency conversion to telecom of single photons from a nitrogen-vacancy center in diamond, https://arxiv.org/abs/1801.03304 (2018).
8. P. Di Sia, Looking at the Quantum Internet, E-methodology 4, 31-35 (2017).
Articolo di Paolo Di Sia
Paolo Di Sia
Paolo Di Sia è attualmente professore aggiunto presso l’università degli studi di Padova e l’università degli studi di Bolzano. Ha conseguito una laurea (bachelor) in metafisica, una laurea (master) in fisica teorica, un dottorato di ricerca in fisica teorica applicata alle nano-bio-tecnologie e un dottorato di ricerca in matematica “honoris causa”. Si interessa del rapporto tra filosofia e scienza, di fisica alla scala di Planck, di nanofisica classica e quantistico-relativistica, di nano-neuroscienza, di fisica transdisciplinare e di divulgazione scientifica. È autore di 276 lavori distribuiti tra riviste nazionali e internazionali, capitoli di libri, libri, interventi accademici su web scientifici, pubblicazioni accademiche interne, lavori in stampa. È reviewer di vari international journals, membro di molte società scientifiche internazionali e international advisory/editorial boards, gli sono stati attribuiti vari riconoscimenti internazionali.
Paolo Di Sia
Università di Padova (Italy) & Libera Università di Bolzano (Italy)
E-mail: paolo.disia@libero.it
Webpage: www.paolodisia.com
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