La Natura della Realtà
di Elia Dallabrida (Decalagon)
Il concetto di universo olografico era già noto molto tempo fa in testi molto antichi come il “Corpus Hermeticum”, risalente a un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C e attribuito a Ermete Trismegisto.
Recentemente ho ripreso in mano con interesse un articolo, pubblicato non molto tempo fa su Luogocomune, dedicato all’universo olografico (https://www.fisicaquantistica.it/fisica-quantistica/l-universo-e-un-ologramma). Sebbene inizialmente avessi accolto l’idea con scetticismo, col tempo è diventata per me uno spunto di riflessione sorprendentemente stimolante. Negli ultimi mesi ho iniziato a esplorare una varietà di testi antichi e filosofici, nella speranza di trovare nuove connessioni tra questi scritti e le mie letture più recenti.
Premetto che ovviamente non mi sento né pretendo di essere detentore di verità assolute né aderisco a un credo religioso o spirituale specifico. Il mio intento è semplicemente quello di condividere alcune riflessioni e materiali che mi hanno affascinato, con l’auspicio che possano stimolare la curiosità e il pensiero critico anche di altri lettori.
Detto ciò, non perderò tempo trattando nuovamente il concetto di universo olografico, ma il fatto che questa idea era già nota molto tempo fa in testi come il “Corpus Hermeticum”. Per chi non lo conoscesse, esso è una raccolta di testi filosofici e spirituali risalenti a un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C. Questi scritti, redatti in lingua greca (probabilmente traduzioni di testi egizi ancora più antichi), sono attribuiti a Ermete Trismegisto, una figura leggendaria considerata un maestro di saggezza e una fusione sincretica tra il dio egizio Thoth e il dio greco Hermes. Trismegisto, il “tre volte grande”, viene dipinto come un maestro spirituale che trasmette insegnamenti esoterici, cosmologici e teologici ai suoi discepoli.
Uno dei temi centrali del Corpus Hermeticum è l’idea che la realtà percepita sia una sorta di illusione, un riflesso distorto di una verità più profonda e fondamentale. In particolare, nel primo trattato del Corpus, conosciuto come “Poimandres” o “Il Pastore dell’Uomo”, Ermete racconta un’esperienza visionaria in cui il Nous (la Mente divina) gli svela i segreti della creazione. Durante il dialogo con il Nous, Ermete apprende che la realtà materiale non è altro che una proiezione di un principio spirituale superiore, e che gli esseri umani, accecati dai sensi e dalle passioni, faticano a percepire la vera natura dell’esistenza.
Tra i passi del Corpus Hermeticum che affrontano direttamente il tema dell’illusione del mondo materiale, nel trattato XV (L’Ogdoade e l’Enneade), Ermete afferma: “Il mondo che vediamo con gli occhi non è che un’ombra, un’apparenza priva di sostanza; la sua verità risiede altrove, in una realtà invisibile che lo sostiene e lo genera.” Questa dichiarazione esplicita l’idea che la realtà sensibile sia solo una manifestazione superficiale di una realtà più profonda e nascosta. L’illusione non è nel senso di falsità assoluta, ma piuttosto nel fatto che ciò che appare tangibile è in realtà transitorio e derivato, un’emanazione, secondo Trismegisto, dell’invisibile ordine divino.
Nonostante questo insegnamento possa sembrare unicamente di natura filosofica e spirituale, presenta interessanti parallelismi con alcune interpretazioni della scienza moderna e dell’idea stessa di “universo olografico”.
Questa frase del Corpus Hermeticum riflette un’idea simile a quella proposta dalla fisica quantistica: ciò che percepiamo come mondo materiale è solo una manifestazione superficiale di processi sottostanti. Infatti le particelle non esistono in senso tradizionale finché non vengono osservate, e il loro comportamento è descritto in termini probabilistici da funzioni d’onda.
Allo stesso modo, il testo ermetico suggerisce che il mondo visibile è un’ombra proiettata da una realtà invisibile più profonda, che lo genera e lo sostiene. Entrambe le visioni propongono un livello di realtà fondamentale, al di là delle apparenze sensibili, che governa il mondo tangibile.
In sintesi, la frase di Ermete e alcune interpretazioni della fisica quantistica condividono un punto fondamentale: ciò che vediamo e tocchiamo è solo un aspetto superficiale di una realtà molto più complessa, invisibile e non immediatamente accessibile, ma che costituisce il fondamento del mondo fenomenico.
Ma un altro testo che merita attenzione in questo contesto, è il cosiddetto “Quinto Vangelo”, anche identificato come “il Vangelo di Tommaso”. Questo vangelo apocrifo, emerso in modo completo con la scoperta della biblioteca di Nag Hammadi nel 1945, contiene 114 loghia, o detti, attribuiti a Gesù. Molti di questi detti non si trovano nei quattro vangeli canonici e presentano un’interpretazione più mistica e gnostica della realtà. Alcuni passaggi in particolare sottolineano l’idea che la verità non sia immediatamente visibile, e che la realtà percepita sia una parziale illusione. Per esempio, il detto 113 recita: “Il Regno del Padre è diffuso sulla terra, eppure gli uomini non lo vedono”. Questa affermazione sembra rispecchiare il tema ermetico dell’idea che la realtà ultima sia nascosta dietro l’apparente mondo materiale e che sia necessaria una profonda conoscenza interiore per riconoscerla.
Questo lo ribadisce nel loghia 77, dove Gesù afferma: “Se coloro che vi guidano vi dicono: ‘Ecco, il Regno è nei cieli’, allora gli uccelli del cielo vi precederanno. Se vi dicono: ‘È nel mare’, allora i pesci vi precederanno. Piuttosto, il Regno è dentro di voi e fuori di voi.“
Anche in questo passaggio, come negli insegnamenti ermetici, troviamo l’idea che la verità ultima non sia lontana o esterna, ma piuttosto immanente e accessibile attraverso la conoscenza di sé. Gesù, nel loghia 3 del Vangelo di Tommaso, afferma che il Regno di Dio è “dentro di voi e fuori di voi” e che conoscere sé stessi è il passo fondamentale per riconoscere la propria origine divina. Questo riecheggia l’insegnamento di Ermete Trismegisto, che nel Corpus Hermeticum invita i discepoli a cercare dentro di sé la scintilla del Nous, la mente divina, poiché attraverso questa consapevolezza interiore si può comprendere la vera natura dell’universo.
In entrambi i casi, l’esplorazione di sé non è un semplice esercizio intellettuale, ma un cammino spirituale che conduce alla verità e alla percezione del divino. È proprio questo riconoscimento del sé come riflesso di una realtà superiore che accomuna le visioni di Gesù e di Ermete, mostrando un parallelismo profondo tra queste due tradizioni.
Il parallelismo tra il Corpus Hermeticum e il Vangelo di Tommaso si può osservare proprio nell’accento posto sull’illusorietà del mondo visibile e sulla necessità di una trasformazione interiore per comprendere il reale. Nel Corpus, Trismegisto insiste sul fatto che l’illuminazione proviene dalla conoscenza del sé, che permette di intravedere la verità celata; similmente, il Vangelo di Tommaso suggerisce che la vera conoscenza del Regno dei Cieli non si trova nei rituali esteriori, ma nell’intima ricerca della verità spirituale. Entrambi i testi puntano alla consapevolezza come mezzo per penetrare le illusioni e raggiungere una visione più autentica dell’esistenza.
Alla luce di quanto emerso, diventa evidente come i testi citati e molti altri insegnamenti spirituali antichi contengano intuizioni che risuonano sorprendentemente con alcune delle scoperte più avanzate della fisica moderna. L’idea che la realtà percepibile sia solo una manifestazione derivata, che dietro le apparenze vi sia un livello più profondo di ordine e di significato, è un tema che attraversa sia le speculazioni cosmologiche contemporanee sia i detti di maestri spirituali di migliaia di anni fa.
Se, da un lato, la scienza ci mostra un universo composto di campi quantistici, intrecci di energia e informazione che creano ciò che chiamiamo realtà, dall’altro, i testi sapienziali antichi ci invitano a riconoscere il mondo sensibile come una proiezione di un principio superiore, di un’unità fondamentale che trascende il tempo e lo spazio.
Questa assonanza non implica necessariamente che gli antichi avessero un accesso diretto alle verità scientifiche odierne; piuttosto, suggerisce che le domande di fondo sulla natura della realtà, sull’unità del cosmo e sul rapporto tra visibile e invisibile siano universali e perennemente attuali.
La fisica moderna e i testi spirituali sembrano convergere nel sottolineare un punto cruciale: la realtà è molto più profonda, complessa e interconnessa di quanto appaia in superficie. E forse, in questo dialogo tra sapere antico e conoscenza scientifica contemporanea, possiamo trovare non solo nuovi spunti di riflessione, ma anche una rinnovata meraviglia per il mistero dell’universo e per il nostro stesso ruolo in esso.
Riferimenti: https://www.fisicaquantistica.it/fisica-quantistica/l-universo-e-un-ologramma
Articolo di Elia Dallabrida (Decalagon)
Fonte: https://luogocomune.net/opinione/la-natura-della-realt%C3%A0
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