L’Economia… una Religione che distrugge la Felicità!
Intervista di Giuliano Balestreri a Serge Latouche
Considerare il Pil non ha molto senso, esso è funzionale solo alla logica capitalista. L’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio.
Per anni, abbiamo pensato che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti.
Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera… tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile e il più rapidamente possibile. E anche una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il nostro pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito… ma forse non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.
Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali. È evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio ai consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita.
Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità, che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che già abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va a finire direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo Stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.
Dalla concorrenza, i consumatori possono trarre benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata.
Il Ttip, il trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori. Come si fa la pace? Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro. Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre-economica, ci vorranno secoli per tornare indietro.
Io preferisco definirmi filosofo, anche se nasco come economista, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna. L’ho capito in Laos, dove la gente vive felice senza avere una vera economia, perché quella serve solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici. Ai vertici della politica gli economisti sono molti. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna si avvicinano a questa via…
Dichiarazioni rilasciate da Serge Latouche a Giuliano Balestreri, per l’intervista: “L’economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza”, pubblicata da “Repubblica” il 10 maggio 2015.
Fonte: Libreidee.org
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