Gli “Ultimi Uomini”: la profezia di Nietzsche
di Paolo Vannozzi
Il filosofo tedesco, vissuto nell’Ottocento, non smette di essere più contemporaneo dei contemporanei. La profezia di Zarathustra colpisce al cuore il nostro presente.
“Dunque parlerò loro di quanto v’è di più spregevole: e questo è l’ultimo uomo”. Nella prefazione del “Così parlò Zarathustra”, dopo aver annunciato l’avvento dell’ “oltreuomo”, Nietzsche ne disegna il contrario. Angosciato, dipinge non l’uomo destinato a superare se stesso, destinato a diventare una stella che danza, ma si concentra invece sulla generazione “dell’ultimo uomo”.
Quest’ultimo assomiglia in maniera sempre più inquietante all’umanità verso la quale andiamo incontro in questo esatto momento storico. L’ultimo uomo è “una creatura apatica senza passioni né impegni” come lo definisce il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek: “incapace di sognare e stanco della vita. L’ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità, sicurezza e tolleranza reciproca”.
Queste tre cose sono l’unico e sacro obiettivo che i popoli del nostro tempo rincorrono assetati: la totale rimozione della fatica, l’esagerata divinizzazione della sicurezza e del controllo, la tacita accettazione di ogni forma di pensiero. Cosa è importante? Che nessuno mi molesti, che nessuno mi infastidisca nel mio inseguire le vane impalcature immaginifiche che creo tra me e me. Ma di cosa parla esattamente Nietzsche?…