Rischio Ictus: la responsabilità è della dieta mediterranea per l’alto contenuto di sale
Quasi 200 mila casi l’anno solo in Italia, di cui il 20% non sopravvive, mentre 50 mila persone devono convivere con gravi disabilità. Sono i numeri dell’Ictus, la terza causa di morte, la prima causa di disabilità nell’adulto e la seconda causa di demenza a livello mondiale.
Malgrado in Italia, come negli altri paesi europei, il tasso di mortalità sia diminuito negli anni, il nostro Paese rimane tra i più a rischio per questa patologia, come spiega Simona Giampaoli, del dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità.
“L’Italia è un Paese ad elevato rischio di Ictus – spiega l’esperta – sia per la sopravvivenza più elevata rispetto ad altri Paesi (l’Ictus colpisce in età più avanzata rispetto alla cardiopatia ischemica), sia per alcune caratteristiche comportamentali”. Nel mirino paradossalmente la dieta mediterranea, che da sempre la medicina indica come un regime alimentare sano ed equilibrato. Una dieta però, sottolinea Giampaoli, spesso “caratterizzata da un elevato consumo di sale, fattore non indifferente nello sviluppo di ipertensione arteriosa, malattie cardio-cerebrovascolari, patologie renali, tumori del tubo digerente, osteoporosi”. Inoltre, alcune condizioni che si ritrovano più frequenti in età avanzata, sono riconosciute come predittori dell’Ictus (per esempio, la fibrillazione atriale, l’ipertrofia ventricolare sinistra, lo spessore medio-intimale delle arterie, l’infarto del miocardio).
Tutti fattori che è fondamentale conoscere, perché l’Ictus non è una condanna inevitabile: “La ricerca epidemiologica – conferma l’esperta – ha dimostrato che più del 50% degli eventi può essere prevenuto e, considerando le dimensioni epidemiologiche di questa patologia, l’impatto socio-economico e le sue conseguenze in termini di mortalità, disabilità e disturbi della capacità cognitiva, diventa fondamentale implementare azioni di prevenzione a livello di popolazione generale, sia sulle persone ad elevato rischio, sia su coloro che hanno già avuto un evento“.
Allora cosa fare? “Per coloro che già hanno avuto un evento cardiovascolare o soffrono di episodi di fibrillazione atriale, esistono oggi terapie molto efficaci che permettono di vivere con una buona qualità di vita; tutti questi trattamenti però sono più efficaci e ci permettono di vivere meglio se accompagnati da stili di vita sani. È stato osservato, ad esempio, che persone che hanno episodi di fibrillazione atriale, durante i mesi estivi registrano meno episodi, così come durante i fine settimana. Un andamento, cioè, che rispecchia l’aumento di attività fisica: in estate, come durante i fine settimana, si tende a svolgere più attività fisica che durante la stagione invernale”.
I trattamenti farmacologici non rappresentano, dunque, una alternativa agli stili di vita, ma devono essere sempre accompagnati da un cambiamento di abitudini, che tenda verso quelle più sane: abolizione del fumo, riduzione del consumo di bevande alcoliche (non più di un bicchiere di vino al giorno), diminuzione del consumo di sale (facendo attenzione anche alla quantità contenuta negli alimenti preconfezionati) riduzione dei grassi animali, in particolare di carni, burro, panna, formaggi e uova e quindi del livello del colesterolo.
Ma anche chi non ha mai avuto problemi di questa natura, dovrebbe attenersi a semplici indicazioni: “L’attività fisica (nel senso di movimento quotidiano, camminata a passo svelto, andare in bicicletta, salire le scale a piedi) deve impegnare almeno 150 minuti a settimana, e nei bambini almeno 60 minuti al giorno; l’alimentazione deve essere varia e bilanciata con molta verdura e frutta, legumi, cereali integrali, pesce e poca carne o niente del tutto, tutto in porzioni modeste”.
Ictus e stili di vita camminano a braccetto, specie con il boom di sovrappeso e obesità di questi ultimi decenni: “L’Ictus, come gran parte delle malattie cronico-degenerative – spiega Giampaoli – riconosce una eziologia multifattoriale; è possibile valutare il proprio rischio di andare incontro a un evento cerebrale maggiore sulla base di otto fattori di rischio: età, sesso, pressione arteriosa sistolica, terapia anti-ipertensiva, colesterolemia totale e HDL, abitudine al fumo e diabete”.
“Purtroppo le persone che adottano stili di vita sani, costituiscono un gruppo poco numeroso della popolazione generale (circa il 5-10%) e sono quelle che si ammalano di meno, hanno eventi meno gravi e dichiarano di avere una qualità di vita buona o eccellente anche in età avanzata”.
Il fenomeno non è da sottovalutare: se è vero, come riporta il Global Burden of Disease, che i decessi causati da ictus si sono ridotti negli ultimi 20 anni in tutti i paesi dell’Unione Europea, uno studio inglese realizzato dal King’s College di Londra, prevede un aumento del 34 per cento dell’incidenza della patologia nei prossimi 20 anni (dai 613.148 nuovi casi all’anno nel 2015, agli 819.771 nel 2035), a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
I costi collettivi dell’Ictus sono valutati nello studio in 3,7 miliardi di euro, il 4 per cento della spesa sanitaria nazionale e un terzo di esso, è rappresentato dalle spese di trattamento nella fase acuta. Gli altri due terzi sono costi generati dalla disabilità. Ci sono poi gli oneri che cadono sulle spalle delle famiglie.
“E’ fondamentale che in Italia si arrivi ad avere un protocollo uniforme da seguire per la riabilitazione di pazienti post-Ictus”, è l’appello lanciato da Nicoletta Reale, presidente di Alice Italia Onlus. “La riabilitazione deve iniziare fin dalla fase di ricovero, per poi proseguire in modo continuativo, senza interruzioni e senza rigide limitazioni temporali, in strutture idonee e nei distretti sanitari territoriali”, sottolinea. Peccato che solo 6 regioni in Italia, presentano percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali aggiornati e attivi per la riabilitazione di pazienti post-Ictus. Sono Valle d’Aosta, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna e Marche. Per le altre la strada è ancora lunga.
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