Il “Paradosso di Easterlin” e la Felicità
di Alexia Meli
La felicità dipende dal benessere?
Secondo il prof. Chater dell’Università di Warwick, diversi esperimenti compiuti nel campo della percezione umana, dimostrano chiaramente che tutto è relativo, nella percezione, nell’azione, nella scelta e nelle decisioni degli esseri umani, e che la stabilità, la personalità e la coerenza di un individuo sono solo un’illusione. Anche i nostri ricordi possono venire “ricordati” in modo diverso negli anni, interpretandoli a seconda delle circostanze del momento.
La nostra mente non conosce niente di assoluto, ma “giudica” la realtà esterna e sceglie il comportamento da seguire, in base a continui paragoni ed è pure facilmente influenzabile dalle scelte dei propri simili.
Per esempio, noi non sappiamo esattamente quanto siano pesanti, alti, o distanti gran parte degli oggetti in sé, come pure sappiamo molto poco sul funzionamento della maggior parte dei macchinari che ci circondano. Inoltre, percepiamo una sola porzione di realtà per volta, senza avere assolutamente idea di quanto avvenga fuori dalla porzione di realtà che sottoponiamo alla nostra attenzione in quel dato momento. Non sappiamo nemmeno quanto le cose siano piacevoli o dolorose in assoluto. Infine, non prendiamo decisioni isolate, poiché ogni scelta che facciamo deve essere in linea con le altre cose che abbiamo fatto in passato e potremmo fare in futuro e con quello che fanno gli altri individui.
Tra l’altro, non sappiamo esattamente cosa sia la felicità, perché anche questa è relativa. Il paradosso definito nel 1975, dall’economista Richard Easterlin, è solo uno dei tanti esempi che dimostra la relatività della mente, e conferma che la ricchezza materiale non garantisce la felicità. Secondo Easterlin, infatti, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, per poi cominciare a diminuire, seguendo una curva ad U rovesciata.
I dati raccolti dall’economista, si basavano su auto-valutazioni soggettive della felicità (in cui gli intervistati rispondevano alla domanda: “Nell’insieme, ti consideri molto felice, abbastanza felice, o non molto felice?”) e le risposte non evidenziavano una correlazione significativa tra reddito nazionale (PNL) e felicità, per cui i Paesi più poveri non risultavano essere significativamente meno felici di quelli più ricchi. Ciò che incideva di più era piuttosto la tutela dei diritti umani, la maggiore democrazia e le migliori condizioni della sanità. All’interno di un singolo Paese e in un dato momento, non era significativa nemmeno la relazione tra reddito personale e felicità, e non sembrava esserci proporzionalità tra un aumento del reddito e un aumento della felicità.
In sostanza, non pare che all’interno di una nazione, essere ricchi renda più felici. Essere molto ricchi non rende molto più felici che l’essere moderatamente ricchi. Anche se, dalla seconda guerra mondiale ad oggi, ci sono stati notevoli miglioramenti nel benessere, e il benessere è uno dei fattori a cui comunque si associa la felicità, il senso di felicità delle persone non si è accresciuto più di tanto.
La presente formula F = f(I,R) in cui F= felicità, I= reddito, R= relazioni sociali, considera la felicità come una funzione del reddito individuale e delle relazionali sociali. Se è vero che l’aumento del reddito fino a un certo punto contribuisce alla felicità, dopo aver superato una certa soglia, l’impegno per aumentare il reddito incide negativamente sulla qualità e quantità delle relazioni personali e sociali.
Questo paradosso dimostra che l’aumento del PIL, soprattutto negli Stati Uniti dove il paradigma del consumismo è più vistoso, non determina un aumento della felicità nella popolazione, quanto piuttosto una diminuzione. Il dato, in effetti, è supportato anche da stime ancor più incontrovertibili che riguardano la salute dei cittadini americani. Rispetto a un secolo fa, risultano infatti aumentati in maniera vistosa i casi di depressione, dovuti all’aumento delle ore di lavoro e dei ritmi quotidiani, che si traduce in minor tempo libero e in una progressiva carenza relazionale.
Alla domanda, perché nel corso degli anni aumentando il benessere materiale non sia aumentata la felicità delle persone, il prof Chater dà anche un’altra risposta. Viste le premesse sulla relatività delle percezioni e delle scelte umane, potrebbe essere che in realtà non siano gli oggetti materiali in sé a darci un senso di felicità, ma gli oggetti che per noi contano, sempre in termini relativi. Quello che ci darebbe veramente felicità nell’avere la macchina nuova, non sarebbe tanto la sua bellezza o le sue caratteristiche di potenza e velocità, quanto il paragonarla con quelle possedute dalle persone a cui ci relazioniamo, o con quelle possedute in passato.
Paradossalmente, il miglioramento delle condizioni di benessere di un’intera nazione, non produce quindi gli effetti sperati. Se tutti progressivamente abbiamo delle automobili più belle e più veloci, o delle case più belle e più pulite, noi non percepiamo maggiore felicità… ci sembra di essere come prima.
Anche la percezione di felicità è relativa. Supponiamo di avere due isole e che gli abitanti di ognuna di esse non siano a conoscenza dell’esistenza dell’altra. In un’isola ci sono buone scuole, buoni ospedali, ognuno ha un certo grado di beni materiali. Nell’altra isola le persone sono povere e le condizioni di vita molto più precarie. Da quanto risulta, per il paradosso di Easterlin, è molto probabile che gli abitanti di ciascuna isola percepiscano, più o meno, lo stesso grado di benessere.
Supponiamo ora invece che gli abitanti di ciascuna isola vengano a conoscenza dell’esistenza degli abitanti dell’altra isola e delle loro relative condizioni di vita. Gli abitanti dell’isola più ricca, si sentiranno più fortunati rispetto agli abitanti dell’isola più povera e quindi più felici, mentre questi ultimi desidereranno vivere nell’isola più ricca e si sentiranno ora più infelici.
Questo paradosso si può spiegare anche per la relatività della mente. Non si può definire direttamente l’effetto della ricchezza materiale sul benessere, ma forse può essere definito l’effetto della ricchezza materiale sulla “percezione del benessere”. La considerazione del benessere e della conseguente felicità, è relativa a ciò con cui ci si mette in paragone. Se cioè non conosco l’esistenza dell’isola più ricca, nel definire il mio grado di felicità mi paragono ai più felici della mia isola. Non appena conosco l’isola più felice mi paragono agli abitanti di quella.
La felicità, quindi, esiste, o esiste solo la “percezione” di essa (tra l’altro assolutamente relativa)? Esiste la felicità in sé?
Economicamente il paradosso di Easterlin ha messo in crisi l’impostazione mondiale dei mercati indirizzati alla crescita misurata sulla base del PNL/PIL e ha portato economisti e psicologi ad interrogarsi più approfonditamente su che cosa intendano le persone per “felicità”, e che cosa veramente le renda “felici”.
Se, infatti, raggiungere il benessere economico non garantisce una vita felice, il paradosso di Easterlin induce a riflettere su quali obiettivi, quale stile di vita sia meglio perseguire e quali siano le prospettive di benessere sociale per una società che intenda mettere la persona e i suoi bisogni al centro di ogni decisione pubblica. Paradossalmente, se la povertà certamente non porta alla felicità, lo stesso si può dire della ricchezza. Ne sono la prova l’aumento delle emergenze e degli squilibri sociali e, in generale, l’abbassamento della qualità della vita nelle società occidentali. Il modello economico fin qui perseguito, in sostanza, ha dimostrato, in questo senso (e in molti altri) tutta la sua fragilità.
Articolo di Alexia Meli
Fonte: http://alexiameli.altervista.org/paradosso-di-easterlin-siamo-veramente-piu-felici/
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