Scontro di civiltà
di Domenico De Simone
Ci siamo. L’umanità è arrivata al bivio dello scontro decisivo. Due civiltà sono a confronto, ed alla fine dello scontro… ne resterà una sola!
Non è la prima volta che accade nella storia dell’umanità né sarà l’ultima. Sempre che alla fine dello scontro resti qualcosa che somigli ad una civiltà. Perché stavolta è a rischio la sopravvivenza stessa dell’umanità: un conflitto nucleare ne segnerebbe, infatti, l’inevitabile declino e la scomparsa dalla faccia della terra nel breve volgere di qualche generazione. È un rischio di cui dobbiamo tenere conto… c’è e non possiamo fare finta di niente.
In passato, quando le armi nucleari non esistevano ancora, gli scontri tra civiltà diverse finivano con la scomparsa o il ridimensionamento della civiltà sconfitta, mentre la vincitrice prosperava ed estendeva il proprio dominio. Penso, ad esempio, all’epico scontro tra Roma e Cartagine, che durò sessant’anni e finì con la distruzione totale della civiltà cartaginese. Erano due società diverse ed opposte, per organizzazione, idealità, struttura economica, ma erano entrambe votate al dominio del Mediterraneo, che era troppo stretto per contenere due civiltà con le medesime ambizioni. I Romani si scontrarono duramente con altre civiltà, distruggendo i Celti, sottomettendo Greci e Macedoni e combattendo epiche battaglie contro i Parti prima ed i Sassanidi poi. Ma in fondo, si trattava di civiltà che avevano tutte lo stesso fine di dominare la maggiore estensione possibile di territorio, ed in questo si somigliavano molto.
Dopo la caduta dell’Impero romano, lo scontro di civiltà si colora di guerra di religione. In fondo, negli ultimi mille anni gli episodi che hanno visto scontri durissimi tra cristiani e islamici sono stati innumerevoli: dalla battaglia di Poitiers, alla lotta dei Castigliani per ricacciare gli arabi in Africa, alla caduta dell’Impero di oriente e la presa di Bisanzio, fino all’assedio di Vienna. La questione era comunque sempre il potere, ma per la gente era soprattutto una questione di identità e di religione, che era rappresentativa di quella identità.
Nel frattempo, i cristiani distruggevano le civiltà dell’America centrale e settentrionale, dell’Australia e dell’Oceania e quelle dell’Africa meridionale e centrale, imponendo il proprio credo e le proprie usanze; mentre gli islamici, che avevano riservato lo stesso trattamento all’Europa orientale occupata per diversi secoli, segnavano il passo per il declino dell’impero ottomano, l’ultima grande struttura di potere della civiltà islamica prima dei tempi moderni. La rivoluzione industriale segnò un decisivo vantaggio dell’occidente, che riuscì ad espandere la propria ideologia intrisa di nichilismo e di potenza in tutto il mondo, portando i propri usi e costumi, ma soprattutto la propria economia, opportunamente accompagnata da poderosi eserciti.
Già, il nichilismo. Il trionfo dell’occidente è dominato dal senso del nulla, ovvero la divinità del denaro, l’unico valore che assume in sé tutti gli altri valori fino ad annientarli. Più che volontà di potenza, l’Occidente esprime avidità di potenza, divorando tutte le popolazioni che incontra nella sua sfrenata corsa all’oro ed annichilendone, valori, natura, religioni, civiltà.
Certo, l’Occidente ha anche elaborato e messo in pratica principi di grande spessore etico e di enorme portata sociale. La democrazia è stata ideata dalla filosofia greca, i principi di uguaglianza e di libertà si sono affermati in Occidente. Lo stato sociale è una conquista dell’Occidente. Certi principi sono stati messi alla base delle Nazioni Unite, anche se la loro realizzazione appare in molti paesi, una lontana utopia. Sulla parità di uomini e donne, buona parte del mondo islamico la pensa diversamente, e anche in Asia e Africa le pratiche e le ideologie sono ben lungi da questi principi. Oltretutto, anche in Occidente questi principi sembrano ora negletti e abbandonati.
Come un novello Crono, esaurito il mondo conosciuto, alla fine l’Occidente ha cominciato a divorare sé stesso. La guerra, con il suo bagaglio di morte e distruzione è arrivata in ogni angolo del mondo. Ovunque rovine, distruzioni, violenze, soprattutto contro le popolazioni civili costrette a subire ben più degli eserciti. Nessuno, in nessun luogo può dirsi al sicuro. Crono vede dappertutto e cerca di divorare i suoi figli in ogni angolo del globo. Il terrore percorre ormai le strade dell’Occidente, già provato da una crisi senza fine, dalla scomparsa del welfare, dalle rovine della società civile. Una massa crescente di poveri arranca con affanno, mentre un numero sempre più esiguo di ricchissimi governa e detta leggi e condizioni.
Il disastro sembra incombere da un momento all’altro. Tutti si aspettano eventi catastrofici e si sa che quando l’attesa è diffusa l’evento si verifica, non fosse altro per far cessare questo snervante stato di attesa. Di fronte a questa follia, le forme di reazione sono diverse. In Occidente, i segnali sono deboli, sia per il dominio del mass media nella vita della gente, sia perché forse il disastro non appare ancora in tutta la sua evidenza. Si vive molto peggio di vent’anni fa, ma la gente non se ne rende conto: è la “sindrome della rana bollita”, ci si abitua al peggio quando questo arriva gradualmente e senza fare troppo rumore. Le mobilitazioni sui diritti civili e sulle questioni politiche degli anni sessanta e settanta, non sono più nemmeno un vago ricordo.
In Oriente la situazione è diversa, e nei paesi islamici ancora peggiore. Lì la guerra è arrivata, spazzando via tutte le illusioni di un rapido miglioramento del tenore di vita e di democratizzazione dei paesi. La maggior parte della gente nemmeno conosce queste idee, troppo lontana è la tradizione culturale perché esse possano avere una diffusione di massa. Occorrono generazioni e i pochi anni di “progresso” vissuti dopo la fine della seconda guerra mondiale non hanno lasciato nessun sedimento.
Gli intellettuali e la nascente borghesia che le sosteneva, è stata spazzata via dall’integralismo e dall’estremismo che sempre accompagnano le guerre. Così le vecchie parole d’ordine e le forme conosciute per secoli di dittature e di oppressione, riprendono vita e forma. In India le caste, nei paesi islamici l’idea del califfato, in Turchia la ricostruzione dell’impero ottomano, in Cina una distribuzione di ricchezza che accompagna quella del potere e che somiglia alla società dei Mandarini, in Africa ritorna la schiavitù insieme con le logiche tribali. In Occidente, risorgono le destre estreme a reclamare la purezza della razza, e governi forti che spazzino via la corruzione e la debolezza delle società democratiche, la cui evoluzione è andata nel senso dell’esclusione di masse crescenti da ogni forma di partecipazione. Lo scontro appare vicino e la guerra è diventata cronaca quotidiana.
Ma lo scontro tra chi, e la guerra di chi contro chi? E di quale scontro di civiltà stiamo parlando? Non certo di quello evocato da molte parti di un conflitto finale tra l’Islam ed il Cristianesimo. I valori religiosi sono in declino nel mondo da decenni, sia in occidente che in oriente e l’epoca delle crociate è finita da un pezzo. È solo la disperazione che porta alcuni ad abbracciare certe idee, non la fede né l’ardore ideologico. Le ideologie sono morte, come aveva lucidamente predetto Nietzsche un secolo e mezzo fa.
Lo scontro è proprio questo. Tra una forma culturale, economica e politica che si fonda sul dominio che sta morendo, ed una nascente dalle sue ceneri, che non prevede alcun dominio se non l’affermazione del sé. È uno scontro duro e difficile, ed in gioco c’è la sopravvivenza stessa dell’umanità, ma la partita è chiara.
Se vincesse la vecchia forma, per l’umanità la prospettiva migliore sarebbe un ritorno al peggiore medioevo, quella più probabile l’estinzione in un olocausto nucleare. Non ci sono molte possibilità di uscire da questa prospettiva. Occorrerebbe un novello Hari Seldon (personaggio immaginario del “ciclo della Fondazione” dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov) e la sua “Psicostoria” per predire quante possibilità ha l’umanità di superare questa prova. Ma è chiaro che il capitalismo è arrivato alla fine della sua esistenza e che l’alternativa è ancora molto fumosa e lontana, definita forse nella testa di pochi intellettuali, e nella volontà e nei desideri di molte persone, molte di più di quanto non si possa immaginare, ma il suo modo di manifestarsi e di affermarsi non è ancora altrettanto chiaro.
Il punto è che la società è in grado di garantire a tutti livelli di benessere crescenti, ma il “potere” si oppone strenuamente a questo e ripropone le sue logiche di guerra e di sopraffazione. Per “potere” non intendo questo o quel governo o regime o religione o ideologia, ma la logica stessa del potere che si manifesta concretamente e storicamente in tutte queste diverse realizzazioni e che oggi si manifesta prevalentemente, sotto forma di potere finanziario.

Salvador-Dali
Questa discrasia genera lo scontro di “civiltà”. Da un lato il patriarcato, fondato sulla violenza, la sopraffazione, il potere ed il controllo delle coscienze, e dall’altro una nuova civiltà fondata sulla coscienza individuale, sulla consapevolezza collettiva, sulla crescita delle informazioni e della cultura, sul benessere, su progetti di grande respiro che coinvolgono tutta l’umanità.
In termini numerici non ci sarebbe alcun paragone. In fondo, è il 99% dell’umanità contro quel 1% che possiede buona parte delle risorse e delle ricchezze e che vuole continuare a perpetrare il suo potere. Purtroppo però, molti umani di quel 99% hanno paura di se stessi, della propria indipendenza, della propria umanità.
Il rifugio nelle logiche del potere è sicuro ed apparentemente tranquillo, più tranquillo e sicuro del mare aperto e tempestoso della crescita della propria coscienza. Ma è ovviamente una falsa sicurezza, perché l’esito è appunto la distruzione dell’umanità attraverso la guerra, e le armi che sono state create sono assolutamente distruttive.
È possibile che un passaggio distruttivo sia già stato vissuto e superato dall’umanità. La mia idea è che il passaggio dalle società “Gilaniche” (civiltà auto organizzate e non violente, in cui uomini e donne avevano gli stessi diritti. Stiamo parlando di quella fase temporale che si pone tra il Neolitico e la nascita degli Stati, un grande arco di tempo che va all’incirca dal 7000 al 3500 a.C., talora sino al 1500 a.C. Si tratta di società fiorite nel Sud-Est dell’Europa, pacifiche, evolute, raffinate, senza gerarchie, senza governo, senza Stato, senza eserciti. Società non patriarcali, anarchiche ante-litteram, dove l’auto-organizzazione protratta per migliaia di anni non ha mai generato caos e violenze.) a quelle di tipo patriarcale sia stato necessario per la continuazione della specie che era a rischio di estinzione. Anche quello fu un passaggio difficile e faticoso che durò alcune migliaia di anni. Se ce la faremo, questo passaggio durerà anch’esso molto tempo. Non credo migliaia di anni, come il precedente… ma certamente alcune centinaia di anni.
Far morire la logica del potere ed estirparla dalla testa degli uomini sarà difficile. Ma in poche decine di anni, anzi ormai temo in pochi anni, sarà necessario depotenziare questa logica del potere per impedirle di scatenare una guerra nucleare che porterebbe l’umanità all’estinzione. Non abbiamo molto tempo, quindi. Dobbiamo fare in fretta!
Articolo di Domenico De Simone
Fonte: https://domenicods.wordpress.com/2015/12/09/lo-scontro-di-civilta/
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