Il “No” e l’Arte di Dissentire
di Francesco Franz Amato
Dissentire: se si guarda l’etimologia del verbo, si vede subito che significa “sentire diversamente”. Quando uno dissente, significa quindi che non è d’accordo con quello che si sta dicendo o facendo.
Il “no”, è sostanzialmente quella parola su cui, come credo tutti i genitori sanno, si incaponisce prima o poi un bambino. È il periodo del “no”, per cui a qualunque domanda, proposta o idea, il bimbo risponde, sempre “no!” e non gli va proprio bene nulla.
Il no è la prima affermazione separatoria e l’inizio del suo uso coincide infatti con la strutturazione dell’ego, che nel caso del bambino implica la nascita dell’individuo. Quando il bimbo dice “no”, di fatto si sta “separando”, nel senso che sta “preparando se stesso” e per farlo pone una barriera, una prima distanza tra se stesso e il mondo, proprio tramite la negazione.
Un adulto dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) conoscere bene questo meccanismo e sapere anche che non sempre è un’affermazione egoica nel senso negativo del termine. E questo perché il tanto demonizzato ego, altro non è che uno dei nostri strumenti principali per sperimentare il mondo. Certo, quando il suddetto strumento sfuggendo di mano al suo proprietario, prende il controllo, si ammutina e stabilisce la propria “indipendenza” rispetto alla volontà del suo (presunto) padrone, allora succedono i casini, ma sta di fatto che comunque di strumento trattasi, strumento che, se usato correttamente, ci permette davvero di fare letteralmente miracoli.
Arrivati in età adulta quindi, saper dire “no” a qualcosa che non sentiamo, riveste ancora più importanza che per il bimbo. Noi siamo, o dovremmo essere, già strutturati e quindi il “no” non è più un modo per prendere le misure in modo da riconoscerci (quanto meno non solo), ma lo strumento per separarci da ciò che riteniamo ingiusto per il nostro sentire.
Ora, fintanto che dissentiamo in un rapporto diretto, oppure mentre siamo dalla parte della maggioranza, del pensiero comune, ecco che il no è in realtà un “si”, da un punto di vista subliminale, perché siamo dalla parte dei più. Ben diverso è invece quando siamo da soli a voler dire “no”, magari davanti ad una maggioranza. E di situazioni come queste ne capitano in continuazione: in un gruppo di amici, in un gruppo di lavoro, oppure semplicemente quando esprimiamo il nostro sentire che, per caso o meno, va contro quello della maggioranza. Lì improvvisamente risulta difficile. Entra la paura di essere esclusi, di essere criticati, licenziati, magari puniti dalla legge. Inoltre, anche l’impatto psicologico derivante dall’andare contro un pensiero comune non è cosa leggera.
Tuttavia, anche reprimere il proprio sentire, specialmente quando lo stesso si oppone ad una logica o pensiero di massa (e credetemi sulla parola: ho una certa esperienza in merito), non funziona: il nostro essere si ribella e quel meraviglioso (quanto delicato) sistema operativo che è la nostra mente, viene messo in contraddizione interna e… salta per aria!
Il mio suggerimento quindi è: impariamo a dissentire. A farlo nel modo più corretto, più sano e più coerente con la nostra persona e personalità. Non sempre dissentire significa alzare la voce… certo a volte ci si arriva, ma non è questo il punto. Un semplice no, a volte è addirittura già molto e in ogni modo, specialmente quando ciò da cui si dissente è considerato “sacro” dalla maggioranza, occorre tatto e soprattutto una completa, radicata fermezza nell’intenzione.
Quando dissentiamo, esattamente come un bimbo che afferma la propria individualità, stiamo contemporaneamente affermando il contrario di ciò da cui dissentiamo. Farlo senza apparire fanatici, è di estrema importanza per non cadere nello stesso errore in cui, nella maggioranza dei casi, si muovono coloro nel confronto dei quali stiamo dissentendo.
Ma soprattutto, ricordiamoci che dissentire non deve implicare in alcun modo fare cambiare idea agli altri. Paradossalmente, è più facile creare un cambiamento in qualcuno accompagnandone il pensiero nella direzione corretta, che non sbattendogli in faccia quello che pensiamo. Altrimenti diventa uno scontro di ego del tutto improduttivo.
Quando la discussione verte su questioni di principio, è spesso inutile opporre una posizione all’altra. Manteniamo la nostra con totale fermezza e spieghiamo il motivo per cui lo facciamo. Colui o coloro che la pensano nel modo da cui stiamo dissentendo, percepiranno che non c’è da parte nostra il desiderio di fargli cambiare idea e, paradossalmente, il più delle volte si troveranno a rispettare il nostro sentire. Il che, alla fine, ci porta al risultato voluto: esprimere il nostro sentire in libertà. Perché alla fine, quello che fa la differenza per ognuno di noi, è essere liberi di esprimere il proprio sentire. Se poi questo implica una discussione, o uno scontro, è questione successiva.
Nella maggioranza dei casi, il dissentire comporterà una grandissima fatica, perché dovremo andare oltre tutte le nostre paure (giustificate o meno che siano) e dovremo lottare per poter esprimere il nostro “dis – sentire”. Ma è fondamentale farlo, perché è con il silenzio al momento sbagliato, che si perde la propria libertà.
Quando dissentiamo, stiamo sostenendo la nostra libertà di individui, il nostro essere umani e non bestie, e il nostro diritto ad un pensiero e una coscienza individuali.
struttore, ricercatore, scrittore, web e social engineer
Sito web dell’autore, ricco di risorse e articoli: http://www.francescoamato.com
Fonte: http://www.francescoamato.com/blog/2016/07/05/il-no-e-larte-di-dissentire/
Articolo interessante sul mondo dei “dissidenti”. Credo di essere stata dissidente tutta la mia vita, e posso condividere la mia esperienza fino ad ora, a quasi 59 anni. Guardando indietro vedo che ho sofferto molto in gioventù quando prendevo decisioni private e pubbliche non convenzionali, cioè ero orgogliosa di quello che facevo ma socialmente sono stata tenuta a distanza. Anche nei rapporti interpersonali, credo che non avessi quella capacità critica e consapevolezza che ho invece acquisito nell’ultimo decennio. Ora posso dire che sono contenta del mio percorso e amo stare con me stessa ed essere consapevole della mia libertà di pensiero e della compagnia di pochi altri amici con i quali condivido questi temi. Ammiro molto il vostro sito e il vostro lavoro di ricerca. grazie!