Frutta 100% Bio, Ma Siete Sicuri che Sia la scelta Giusta per l’Ambiente?
Frutta biologica ma soltanto in teoria. Il grande paradosso italiano: il Paese ha perso l’autosufficienza alimentare in ortofrutta. Le importazioni hanno superato le esportazioni.

Prodotti che arrivano nei supermercati fuori stagione e con prezzi più bassi, quindi convenienti per le grandi catene. Ma c’è un altro aspetto che spinge il consumatore a “ravanare” nella cassettina della frutta straniera: l’etichetta Bio.
Si acquista nella convinzione che il prodotto sia davvero biologico, quando di biologico ha solo il nome e forse nemmeno quello. Le fragole del Perù, le mele dall’Argentina e gli avocado dal Kenya arrivano ogni giorno sugli scaffali dei supermercati europei con il bollino bio ben in vista.
La maggioranza dei consumatori pensa che acquistare questi prodotti faccia bene alla salute, rispetti l’ambiente e sostenga un’agricoltura sostenibile.
Ma la realtà è tutt’altra: dietro quella certificazione verde spesso si nasconde un sistema che, per impatto ambientale complessivo, spesso fa rimpiangere i prodotti convenzionali coltivati sotto casa.
Biologico sì, ma vi siete mai chiesti l’impatto ambientale che ha un simile commercio? E se fate veramente la cosa giusta ad acquistare questi prodotti?
Il biologico, per definizione, si fonda sul rispetto dell’ambiente: niente pesticidi chimici, rotazioni colturali, conservazione della biodiversità. Ma quando il trasporto della frutta bio avviene su migliaia di chilometri, in container refrigerati, camion diesel o peggio ancora in aereo, il risultato cambia completamente. La certificazione è fasulla.
Il problema centrale è che le certificazioni biologiche si fermano al cancello della fattoria. Non tengono conto del trasporto, dello stoccaggio, del packaging e del consumo energetico per la conservazione nei centri logistici e per i trasporti.
Il risultato è paradossale: un mango bio dell’Ecuador arriva in Europa via nave container (o peggio ancora via aereo) e ottiene la stessa certificazione di una mela biologica coltivata a pochi chilometri dal supermercato.
A me qualcosa non torna non so a voi!
Le multinazionali del biologico esistono e sfruttano il marchio bio come leva di vendita. L’estetica è impeccabile: confezioni verdi, parole come etico, naturale, a basso impatto. Ma è un’operazione di “greenwashing” di massa, utile a fidelizzare il consumatore medio, che compra bio convinto di fare del bene al pianeta.
Il consumatore, da parte sua, raramente si informa sulla stagionalità, sull’origine geografica o sul ciclo di vita del prodotto, non si pone nessuna domanda. Pretende fragole a dicembre, mango a febbraio e avocado ogni giorno, purché biologici.
È l’illusione di questa società del finto “consumo etico” (questa parola sulla bocca di tutti) che non si traduce in una vera coscienza ambientale ma solo in un alibi da supermercato.
Il vero biologico è un’obbiettivo giusto, ma non può essere disgiunto dal concetto di vicinanza. Un’agricoltura per essere realmente sostenibile deve essere locale, stagionale e integrata nel territorio.
Un sistema che importa banane bio dal Costa Rica per arrivare sugli scaffali di Roma e Milano significa accettare una visione falsa della sostenibilità; la vedo più come un pulirsi la coscienza dietro una falsa etichetta, un’ipocrisia ecologica fatta di etichette e certificazioni che lasciano il tempo che trovano!
Fino a quando si continuerà ad ignorare la provenienza e il ciclo di vita degli acquisti che si fanno, il “bio aereo” continuerà a volare sopra le nostre teste, ben lontano da una vera sostenibilità.
Non acquistate più questi prodotti che provengono dall’estero, cercate piuttosto piccoli coltivatori locali della vostra zona, che anche se non hanno la certificazione bio producono ortaggi e frutti di ottima qualità!
Non fermatevi davanti a un’etichetta, mangiate frutta e verdura di stagione. Ne trarrà beneficio in primis la vostra salute, ma anche il vostro portafoglio.
Riflettete!
Fonte: https://t.me/canal104








































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